26 aprile 2008

Briganti e partigiani

Vorrei scrivere qualcosa sul 25 aprile, giornata che celebra la ricorrenza della liberazione dal nazifascismo. Ma non riesco a decidermi da dove cominciare.
Se da un vaffanculo a Beppe Grillo, che non ho mai amato, per l’essersi autoproclamato il vero neopartigiano. Comunque mi è piaciuta la sua battuta sulla legge elettorale; un po’ meno l’attacco a Napolitano, poteva risparmiarselo. «Così adesso abbiamo eletto il parlamento con la vecchia legge e il prossimo anno potremo modificarla con un referendum. Che è come mettersi il preservativo dopo aver trombato». Efficace. Ma Grillo è andato a votare?
Se da Berlusconi, che sta studiando per passare alla storia come statista. Predica l’equidistanza tra i partigiani e quei bravi «ragazzi di Salò». Ed ha pure la spudoratezza di dire di pensarla proprio come Napolitano, del quale spera di poter prendere la poltrona, se non a fregargliela prima della scadenza naturale.
Se dai veri vecchi partigiani, che stampa e televisione di regime stanno tentando di farli passare come dei vecchi ormai rincoglioniti.
Se dai giovani di oggi, che vogliono liberarsi da non si sa cosa.
Se dalla scuola, che non insegna più nulla e tanto meno la Liberazione.
Ed allora mi rifugio con la mente fra i miei cari vecchi briganti postunitari, che da meridionali vollero ribellarsi più o meno coscientemente agli invasori piemontesi. Ma la sfortuna loro fu che persero. Ed allora non gli tocca nemmeno la celebrazione di una ricorrenza. Eppure fu un popolo intero ad assumere il titolo di brigante, come scrisse Piero Bargellini. Ma persero. E la storia viene scritta dai vincitori. I partigiani sono più fortunati.
Forse ho fatto un po’ di confusione. Ma anch’io a mio modo ho voluto celebrare la Liberazione. Augurandomi comunque tempi migliori, sia per i partigiani che per i briganti.

19 aprile 2008

Il mitra di Berlusconi (per non continuare a prenderlo nel culo)

L’abbiamo preso tutti nel culo (nel senso metaforico negativo e peggiore). Io due volte. La prima perché ho votato Veltroni, sperando di non far vincere Berlusconi, che poi invece ha stravinto. La seconda perché la mia area di appartenenza, la sinistra comunista e democratica, è scomparsa del Parlamento per aver persa la fiducia degli elettori.
Di questa debacle molte sono le cause ed infinite le possibili discussioni. Io dico che siamo stati dei grandi coglioni per non aver fatto, quando avevamo i numeri per farlo, una seria legge sul conflitto di interessi, per impedire allo sporco padrone dell’informazione di diventare presidente del Consiglio. Non dovrebbe nemmeno poter prendere parte alle elezioni da candidato. Gli italiani vengono tutti imbrogliati.
Il conflitto di interessi quindi dovrebbe essere la prima arma da approntare se vogliamo sconfiggere Berlusconi e risorgere. Il secondo obiettivo immediato da perseguire è la riforma della legge elettorale; bisognerà impegnarsi per il ritorno ad un sistema proporzionale autentico. In terzo luogo dobbiamo tornare ad essere veramente e fattivamente dalla parte dei lavoratori e dei cittadini più deboli (la stragrande maggioranza degli italiani).
Altrimenti Berlusconi col suo mitra, dopo aver fatto fuori la giornalista russa per difendere il suo amico Putin, farà fuori tutti noi.

13 aprile 2008

Lezioni di volo, film di Francesca Archibugi

Dodicesimo film del Cineforum Grottaglie 2008

Storia di due ragazzi borghesi, senza presente e senza futuro, senza interessi e senza sogni. Per sfuggire al loro vuoto esistenziale volano in India, con i soldi di papà. L’uno, indiano adottato da italiani, cerca e trova la sua famiglia di origine; l’altro, per caso, trova il primo approccio all’amore.
Film a tema. Come tanti altri italiani. Che non dice niente di nuovo. Nemmeno dal punto di vista cinematografico.
Si salva solo la fotografia, bella e affascinante nella descrizione dell’India.

Trama
Pollo e Curry hanno diciotto anni e poca voglia di impegnarsi a scuola e nella vita. Pollo è ebreo e figlio di un padre intransigente e una madre svampita. Curry è indiano e figlio adottivo di una psicologa emotiva e di un giornalista fedifrago. Bocciati alla maturità partono in vacanza "premio" per l'India dove, fuori dai circuiti turistici, incontreranno Chiara, ginecologa di una Onlus internazionale. Nel deserto del Thar proveranno finalmente interesse per la vita: Pollo si innamorerà di Chiara e del suo coraggio, Curry cercherà la madre naturale e le sue origini. Torneranno a casa e all'occidente col "brevetto di volo".

Cast e crediti
titolo originale: LEZIONI DI VOLO
regia: Francesca Archibugi
cast: Giovanna Mezzogiorno, Andrea Miglio Risi, Angel Tom Karumathy, Roberto Citran, Anna Galiena, Flavio Bucci
sceneggiatura: Doriana Leondeff, Francesca Archibugi
fotografia: Pasquale Mari
montaggio: Jacopo Quadri
scenografia: Davide Bassan
costumi:Alessandro Lai
musica: Battista Lena
produttore: Riccardo Tozzi, Giovanni Stabilini, Marco Chimenz
produzione: Cattleya, Aquarius Film, Babe Films, con il contributo del MiBAC, Khussro Film (Calcutta)
distributore: 01 DISTRIBUTION
vendite estere: TF1 INTERNATIONAL
paese: Italia/India/Francia/UK
anno: 2006
durata: 106'
formato: 35mm - colore
uscito in sala: 16/03/2007


Premi e festival
FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL CINEMA DI ISTANBUL 2008: From the World of Festivals
FESTIVAL DES FILMS DU MONDE DE MONTRÉAL 2007: Focus on World Cinema
FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI MARRAKECH 2007: Fuori Concorso
HAIFA INTERNATIONAL FILM FESTIVAL 2007
MITTELCINEMAFEST - FESTIVAL CENTRO-EUROPEO DEL CINEMA ITALIANO 2007

Trailer

12 aprile 2008

Voto Veltroni

Non ho aderito al Partito Democratico. Mi sento più vicino alle posizioni della Sinistra Democratica di Fabio Mussi. Ma per essere conseguente con tutto quello che ho sempre pensato e scritto, anche in questo mio blog, nelle elezioni del 13-14 aprile 2008 voterò sia alla Camera che al Senato per Walter Veltroni. Non me la sento di avere sulla mia coscienza politica una qualsiasi responsabilità di aver fatto vincere Berlusconi. Fra gli unici due contendenti che hanno possibilità di vittoria, scelgo quello più vicino alle mie posizioni, quello con il quale sarebbe più possibile dialogare per far passare le mie idee. Con Berlusconi nuovamente al potere sarebbe la fine di tutto. Purtroppo oggi, con l’attuale legge elettorale (porcata che deve essere cambiata), l’unico voto utile è quello per Veltroni.
Questa mia posizione l’avevo già espressa, in un altro mio recente post, nel quale sintetizzavo un’intervista a Raniero La Valle.

11 aprile 2008

Carlo Antonio Gastaldi (brigante), di Gustavo Buratti

Carlo Antonio Gastaldi da soldato dell’esercito piemontese, sceso al sud per reprimere il brigantaggio, diventa brigante della banda del sergente Pasquale Domenico Romano di Gioia del Colle, in provincia di Bari.
Nacque il 7 novembre 1834 in Piemonte a Vagliumina (oggi quarantasei abitanti), piccola frazione di Graglia, in provincia di Biella. Il padre era selciatore, lui cardatore.
Nel 1855 fu arruolato in fanteria. Combattè contro gli austroungarici a Palestro, meritandosi una medaglia d’argento. Ma la vita militare non era per lui. Venne condannato più volte, dal Tribunale di guerra, al carcere. Due volte fu graziato dal re piemontese.
Il 1861 fu l’anno dell’Italia “unita”. L’esercito piemontese, per unire il sud al regno sabaudo, scese nell’ex Regno delle Due Sicilie con un’imponente armata per combattere la Resistenza del popolo meridionale. Anche Carlo Gastaldi, numero di matricola 17056, nel “Corpo Cacciatori Franchi” del 16° Reggimento di Fanteria, IV Battaglione, partì per dare la caccia ai “briganti”.
Fu prima a Taranto e poi a Brindisi. Nelle Puglie era in atto una delle più grosse rivolte contadine, capitanata da Pasquale Domenico Romano, ex sergente dello sconfitto esercito borbonico e ora comandante generale, nominato dal Comitato borbonico segreto di Gioia del Colle.
Un grande successo della banda brigantesca del sergente Romano, che contava oltre 200 uomini sotto la bandiera bianca gigliata borbonica, fu la riconquista di Gioia del Colle, suo paese natale, avvenuta il 28 luglio 1861. Ma la vittoria durò poco. La vendetta dei piemontesi fu terribile. Secondo quanto si dice nella tradizione popolare furono massacrati 150 rivoltosi.
Intanto Carlo Gastaldi, per aver venduto due mazzi di cartucce ed una coperta da campo viene prima rimesso in prigione e poi destinato per “cattiva condotta” al Corpo disciplinare di Finestrelle (Torino). Ma durante il trasferimento, sotto scorta dei carabinieri, nella notte tra il 17 ed il 18 novembre 1862, nei pressi di Fasano, riesce a scappare. Viene dichiarato disertore per la terza volta.
Abbandonato l’esercito piemontese, mentre era alla macchia incontra i briganti del sergente Romano e si arruola con loro. Erano povera gente come lui.
Entra subito nelle simpatie del comandante Romano, diventandone amico e confidente, una specie di segretario-luogotenente. E non solo. Il Gastaldi ottiene anche le confidenze più segrete ed intime del Comandante: personali ed amorose. Perso l’amore di Lauretta d’Onghia, Enrico La Morte (era questo il nome di battaglia che si era dato il sergente Romano) si consolava come poteva con altre ragazze che incontrava nelle masserie che lo ospitavano.
Il Gastaldi partecipa attivamente a tutte le scorribande brigantesche del Romano. Il 21 novembre 1862 si ottiene la vittoriosa battaglia di Carovigno. Il giorno dopo viene assaltata la masseria Santoria, a cinque chilometri da Torre Santa Susanna, dove viene sequestrato il massaro Giuseppe de Biase, vecchio liberale, che poi verrà ucciso. A queste azioni partecipa anche il comandante Cosimo Mazzei di San Marzano, detto Pizzichicchio, che aveva unito la sua banda a quella del Romano. Nei giorni successivi si è ad Erchie, Avetrana, Grottaglie, Massafra, Mottola.
La mattina del 24 novembre 1862 la banda Romano si acquartiera nel bosco delle Pianelle, nei pressi di Martina Franca, che già nei primi anni del secolo era stato la base per le imprese del prete brigante don Ciro Annicchiarico. Da qui il Romano manda dei corrieri in Basilicata per proporre un’intesa al capobrigante Carmine Donatelli Crocco. Ma non se farà niente.
Il 1° dicembre 1862 la compagnia fa sosta alla masseria dei monaci di San Domenico. Sono presenti tutti i comandanti delle bande del Salento e del Barese. Nella notte i piemontesi sferrano un attacco di sorpresa. E’ una disfatta per i briganti. Ne muoiono in tanti; muore anche il comandante Giuseppe Nicola La Veneziana, vengono feriti Pizzichicchio e Quartulli. Molti fuggono. Pasquale Romano, che con 40 uomini era andato alla ricerca di provviste e foraggio, non partecipa alla battaglia. Si salva anche Carlo Gastaldi.
I comandanti superstiti decidono di sciogliere la compagnia e prendono strade diverse. Il Romano rimane alle Pianelle con una quarantina dei più fedeli: tra questi vi è Carlo Gastaldi.
Curati i feriti e recuperati i fuggiaschi dispersi, dopo qualche giorno si parte per la masseria Santa Chiara di Noci. Qui il Gastaldi consegna al prete don Vito Nicola Tinella (che si trovava lì per celebrare una messa ai briganti) una lettera da far recapitare ad un fratello che si trovava a Napoli. Ma il prete anziché spedirla, apre e legge la lettera, che strappa poi in quattro pezzi e si mette in tasca. La lettera verrà consegnata dallo stesso don Tinella alla polizia, che lo aveva arrestato, a dimostrazione che non aveva voluto collaborare con i briganti.
Nella lettera, in realtà indirizzata al padre, Gastaldi tra l’altro parlava delle battaglie vittoriose degli uomini capitanati dal Romano, che non erano «briganti come erano spacciati».
Dopo varie scaramucce con i piemontesi, il sergente Romano decide di ritirarsi con i pochi a lui rimasti fedeli nel bosco di Vallata, nei pressi del suo paese Gioia del Colle. La sera del 6 gennaio 1863 i piemontesi circondano il bosco. E’ la fine. Ventidue “briganti” restano uccisi sul campo, Tra essi il sergente Pasquale Domenico Romano. Pochi si salvano, o facendo finta di esser morti, o dandosi alla fuga. Tra gli scampati vi è Carlo Gastaldi, che qualche mese dopo, con la speranza di aver salva la vita, si consegna ai piemontesi a Bari. Subisce due processi; nel primo per fatti inerenti al brigantaggio viene condannato a 15 anni, nel secondo per la diserzione la condanna è di 18 anni di lavori forzati. A seguito di questa sentenza il Gastaldi viene radiato definitivamente dall’esercito. E’ l’ultima notizia che abbiamo di lui: poi più nulla.
Ma il Gastaldi merita di essere ricordato, se non altro perché ebbe il coraggio di schierarsi al fianco del più idealista dei “briganti” del Mezzogiorno.
Gustavo Buratti, grande studioso delle minoranze linguistiche esistenti in Italia, scrive la storia del Gastaldi in dialetto piemontese con traduzione italiana a fronte. Nella traduzione ho notato qualche inesattezza, specialmente dal punto di vista geografico sui paesi pugliesi.
Mi piace chiudere la mia recensione con un passo tratto dalla nota di edizione che introduce il libro: «Il Piemonte non sono solo i Savo­ia, sono anche e soprattutto i Gastaldi, i contadini delle Langhe, del Cuneense, delle sue campagne. Sono i Nuto Revelli, i Gustavo Buratti». E con loro e tramite loro è possibile un incontro tra Nord e Sud.
In appendice al libro sono elencati, con brevi cenni biografici, 169 (centosessantanove) uomini della banda Romano.

Gustavo Buratti, Carlo Antonio Gastaldi - Un operaio Biellese brigante dei Borboni, Qualecultura (Vibo Valentia) - Jaca Book (Milano), 1989, pp. 100

6 aprile 2008

Giardini in autunno, film di Otar Iosseliani

Undicesimo film del Cineforum Grottaglie 2008

Favola agrodolce. Il potere logora chi ce l’ha. La perdita del potere determina una rinascita. Si riscopre la semplicità della vita vera e quotidiana. Fino all’esagerazione della vita sotto i ponti da clochard.
Storia surreale che vive solo nel cinema e per il cinema. La realtà è lontana e diversa.
Personaggi umani emblematici che si confondono con animali simbolici.
Forse una favola antipolitica un po’ qualunquista.
Buona la recitazione di tutti gli attori, per la maggior parte sconosciuti. L’unico attore famoso è Michel Piccoli, che però interpreta un ruolo femminile.

Trama
Vincent é un ministro, un uomo potente, non brutto, piuttosto elegante, grande bevitore e buongustaio. Odile, la sua amante, è una ragazza molto bella, intelligente, lucida e affascinante. Ma non bisogna mai far dipendere il proprio destino dalle belle ragazze: la cosa potrebbe costare piuttosto cara. Infatti, nel momento in cui Vincent viene cacciato dal ministero, lei lo lascia. Théodière, il nuovo ministro in carica, s'insedia nel sontuoso ufficio di Vincent e distrugge tutto quello che trova. Cambia gli scaffali, i rivestimenti di poltrone e divani, la scrivania, fino addirittura ai posacenere e ai telefoni. Per quanto tempo resterà in carica? Chi lo sa…. Ma lui è ottimista. L’ex ministro Vincent, invece, comincia a vivere… E così, alla fine della nostra storia, Vincent incrocia Théodière, suo rivale e successore caduto in disgrazia a sua volta, ma Vincent non proverà né odio, né gioia perversa, anzi gli dirà: « Mi sembri stanco,…. tieni, bevi un bicchiere ! »...

Cast
Séverin Blanchet, Jacynthe Jacquet, Otar Iosseliani, Lily Lavina, Denis Lambert, Michel Piccoli, Pascal Vincent, Salomé Bedine-Mkheidze

Crediti
Titolo originale: Jardins en automne
Regia: Otar Iosseliani
Sceneggiatura: Otar Iosseliani
Fotografia: William Lubtchansky
Musiche: Nicolas Zourabichvili
Montaggio: Otar Iosseliani ,Ewa Lenkiewicz
Anno: 2006
Nazione: Francia / Italia / Russia
Distribuzione: Mikado
Durata: 121'
Data uscita in Italia: 27 ottobre 2006
Genere: commedia

5 aprile 2008

Segretezza delle mail

Un amico mi ha inviato la seguente mail. Non so quanto giri già in internet. Può darsi che voi già la conosciate. Può dare occasione a varie riflessioni. Il livello di integrazione fra i vari popoli, la favola della privacy in internet, ecc. A me è piaciuta. Ve la giro.

Succede in America
Un vecchio arabo residente a Chicago da più o meno quaranta anni, vuole piantare delle patate nel suo giardino, ma arare la terra è diventato un lavoro troppo pesante per la sua veneranda età. Il suo unico figlio, Ahmed, sta studiando in Francia.
Il vecchio manda una e-mail a suo figlio, spiegandogli il problema: «Caro Ahmed, sono molto triste perché non posso piantare patate nel mio giardino quest'anno, sono troppo vecchio per arare la terra. Se tu fossi qui tutti i miei problemi sarebbero risolti. So che tu dissoderesti la terra e scaveresti per me. Ti voglio bene. Tuo padre».
Il giorno dopo il vecchio riceve una e-mail di risposta da suo figlio:
«Caro papà, per tutto l'oro del mondo non toccare la terra del giardino! Lì è dove ho nascosto ciò che tu sai... Ti voglio bene anch’io. Ahmed».
Alle quattro del mattino seguente, a casa del vecchio arabo arrivano la polizia, gli agenti dell'FBI, della CIA, gli SWAT, I RANGERS, I MARINES, Silvester Stallone, Arnold Shwarzenegger ed i massimi esponenti del Pentagono, che rivoltano il giardino come un guanto, cercando antrace, materiale per costruire bombe o qualsiasi altra cosa pericolosa. Non avendo trovato nulla, se ne vanno con le pive nel sacco...
Lo stesso giorno l'uomo riceve una e-mail da suo figlio:
«Caro papà, sicuramente la terra adesso è pronta per piantare le patate. Questo è il meglio che ho potuto fare, date le circostanze. Ti voglio bene. Ahmed».
Ciao

4 aprile 2008

I briganti La Gala, di Antonio Vismara da Vergiate

Ai tempi del brigantaggio post unitario chi sapeva leggere e scrivere stava dalla parte dei galantuomini (i signori), chi non sapeva né leggere né scrivere o era brigante o parteggiava per i briganti. L’eccezione erano i preti che, per ragioni loro, simpatizzavano più per i briganti.
L’avvocato e professore Antonio Vismara, nativo di Vergiate in provincia di Varese, era sceso nel napoletano insieme ai colonizzatori piemontesi. Come loro anche lui voleva redimere i cafoni meridionali. Ed opinava che il brigantaggio «non sia una piaga cancrenosa che esiga l’opera chirurgica, ma che sia un vizio patologico del corpo sociale». Per lui il brigantaggio è «una espulsione cutanea che ci mostra l’acrimonia interna e ci avverte di curarci».
Non è per niente tenero con briganti «che rubano, che assassinano, che seviziano, che stuprano, che insultano all’umanità, alla morale, alla religione, alla civiltà, alla patria, e si ritengono per difensori dell’altare e del trono e non sono altro che i giannizzeri del delitto più abbietto». I briganti sono «un’onda di melma composta di tutte le sozzure mondane».
Il libro fu pubblicato a Napoli il 1865. Il brigantaggio non era stato ancora sconfitto definitivamente. Dal 15 agosto 1863 al 31 dicembre 1865 sarebbe stata in vigore la famigerata legge Pica.
Vismara non lascia dubbi sulla sua scelta di campo. E dopo aver affermato che «il sangue non soffoca il sangue: con mezzi illegali non si calpesta l’illegalità», scrive senza pudore che «al governo italiano – sorto dal consenso dei vari popoli della penisola – che ha per programma la libertà e l’unità della patria, non sono applicabili tali parole. Egli non userebbe che i mezzi legali». Vuole ignorare completamente il vergognoso massacro che l’esercito piemontese stava facendo di tantissimi meridionali, italiani pure loro. Ignora pure la farsa dei plebisciti di annessione al regno sabaudo-piemontese.
Per Vismara i carabinieri erano dei valorosi che «né il freddo, né l’oscurità li trattenevano» e quando morivano ammazzati dai briganti la loro era «morte onorata e che la patria gli ricorda con gratitudine». I briganti erano invece «gente che si dissetava col sangue umano, si cibava di carne umana, gente peggiore della tigre che non divora la sua specie! Gente più schifosa dello scarafaggio, orrida più del rusco, più vile dell’alga abbietta». E come tali, come animali, potevano essere ammazzati senza pietà (con buona pace di chi rispetta pure gli animali).
Ma allora, qualcuno potrebbe chiedermi perché io stia recensendo questo libro. Lo faccio solamente perché la riedizione è stata curata dall’amico Valentino Romano, che riconosce al Vismara una qualche capacità di analisi del fenomeno del brigantaggio, se pur non del tutto condivisibile oggi, che prelude alla concezione «che solo nella metà del secolo appena passato troverà nuova linfa grazie al lavoro di Franco Molfese, di Tommaso Pedio e di tanti altri storici “revisionisti”, tutti propensi a riconoscere alla ribellione del Sud contro l’unità d’Italia carattere e dignità di rivolta anarcoide del mondo contadino meridionale contro il potere che lo opprime».
Per il Vismara tre sono le cause principali che hanno portato al brigantagiio: lo scioglimento dell’esercito borbonico, la povertà dei contadini meridionali, la presenza del clero al fianco dei briganti.
Come altri libri, scritti al momento che si svolgevano i fatti, anche questo del Vismara è un’utile fonte per conoscere fatti e protagonisti del brigantaggio. Nello specifico, vita ed imprese dei fratelli Cipriano e Giona La Gala, nati a Nola in provincia di Napoli, il primo nel 1834, il secondo due anni dopo. Nel 1855 i due fratelli vennero condannati a 20 anni di carcere per un furto, durante il quale vi fu un morto. Nel 1860 i due fratelli La Gala fuggirono dal carcere di Castellamare e si diedero alla macchia diventando briganti; ma Giona subito dopo venne arrestato nuovamente e rinchiuso nel carcere di Caserta, dal quale evase l’anno dopo. Cipriano formò una sua banda, che contò fino a trecento uomini. Teatro delle gesta furono i monti di Cancello e del Taburno, in Campania. Seguirono sequestri, depredazioni, omicidi, saccheggi, scontri con le forze armate piemontesi. Nel gennaio 1862 raggiunsero Roma, dove incontrarono il re in esilio Francesco II Borbone, che voleva mandarli a Marsiglia ed a Barcellona per reclutare gente per una guerra di riconquista dell’ex Regno delle Due Sicilie. Si imbarcarono a questo fine sulla nave francese Aunis. Ma nel porto di Genova furono arrestati dai piemontesi. Ne nacque un incidente diplomatico, che si concluse con la restituzione dei La Gala ai francesi in un primo tempo e con l’estradizione poi dalla Francia all’Italia. Portati a Napoli per il processo, vennero condannati a morte. Condanna poi tramutata all’ergastolo. Cipriano venne rinchiuso nel carcere del cantiere della Foce a Genova e Giona a Portoferraio.
Il titolo originale dell’opera del Vismara è Cipriano e Giona La Gala o i misteri del brigantaggio.

Antonio Vismara da Vergiate, I briganti La Gala – Storie di omicidi, di sequestri e di grassazioni all’indomani dell’Unità d’Italia, Capone Editore, Lecce 2008, pp. 120, € 8,00