20 ottobre 2009

I banditi, di Eric J. Hobsbawm

E' la quarta edizione del libro, riveduta e ampliata dallo stesso Hobsbawm, pubblicata nel 1999. Le tre precedenti erano uscite rispettivamente nel 1969, nel 1971 e nel 1981.
I motivi di questa nuova edizione sono sintetizzati dallo stesso autore nella prefazione. Il primo è che dopo il 1981 sono usciti diversi contributi importanti sulla storia del banditismo, che hanno ampliato la visione del banditismo nella società e dei quali si è voluto tener conto. Il secondo motivo è che fatti a noi contemporanei, come per esempio quelli avvenuti in Cecenia, causati dalla disgregazione del potere statale e del sistema amministrativo in molti stati, ci fanno valutare in modo diverso l'esplosione del banditismo nell'area mediterranea dal Cinquecento in poi. Il terzo motivo è che si è voluto anche tener conto di alcune critiche alle precedenti edizioni.
Hobsbawm si occupa soltanto di alcuni tipi di banditi, di quelli che l'opinione pubblica non considera delinquenti comuni. I banditi sociali sono ritenuti criminali dal signore e dall'autorità, invece dalla gente della società contadina sono considerati eroi, campioni, vendicatori, combattenti per la giustizia, persino capi di movimenti di liberazione e comunque uomini degni di ammirazione, aiuto e appoggio.
Il banditismo sfida l'ordine socio-economico-politico che opprime i deboli, sfida chi detiene il potere ed il controllo delle risorse. Fame e brigantaggio vanno di pari passo. Meglio infrangere la legge che morire di fame.
Sotto l'aspetto sociale conta poco la vita reale dei banditi, contano di più gli effetti delle attività dei banditi nell'ambito della storia del tempo; sotto l'aspetto politico invece vita e fatti reali hanno grande importanza.
Il banditismo, che generalmente è un fenomeno individuale o di piccoli gruppi, diventa fenomeno di massa quando il potere è instabile, inesistente o indebolito.
Il fenomeno del banditismo sociale si riscontra nelle società fondate sull'agricoltura ed è alimentato da contadini e braccianti governati ed oppressi dai signori delle città. Gli uomini in età da lavoro preferiscono prendersi con la forza ciò che gli serve, piuttosto che morire di fame.
Ma talvolta il banditismo è la resistenza di intere comunità o popolazioni alla distruzione del proprio modo di vivere. E' quello che avvenne nell'Italia meridionale con la grande rivolta contadina e con la guerriglia dei briganti contro i piemontesi, percepiti come invasori, negli anni 1861-65. I briganti di allora erano uomini di azione e non ideologhi, uomini duri e sicuri di sé, che riuscivano ad esprimere capi forniti di forte personalità e di grande talento militare. Carmine Crocco e Ninco Nanco avevano doti di comando che suscitarono l'ammirazione degli ufficiali piemontesi, che combatterono contro di loro. Ma – scrive Hobsbawm – per quanto quegli “anni del brigantaggio” costituiscano un raro esempio di un'importante sollevazione contadina capitanata da banditi sociali, i capi briganti non incitarono mai i propri uomini a occupare le terre e parvero incapaci di concepire una “riforma agraria”. I briganti erano dei riformatori, non dei rivoluzionari.
Ma talvolta i briganti diventano rivoluzionari. Ed avviene quando – scrive Hobsbawm – «il brigantaggio diventa il simbolo, anzi la punta avanzata di resistenza dell'intero ordine tradizionale contro le forze che cercano di scalzarlo e di distruggerlo. Una rivoluzione sociale non è meno rivoluzionaria perché si schiera a favore della “reazione”, secondo la definizione di chi ne è al di fuori, contro il “progresso”». I briganti del Regno di Napoli che insorsero in nome del papa, del re e della fede contro i giacobini e gli stranieri erano dei rivoluzionari, che non insorgevano a difesa del “reale” regno dei Borboni, ma per l'ideale della società del buon tempo antico, simbolizzata naturalmente dall'ideale del Trono e dell'Altare.
A volte i briganti, come nel meridione d'Italia nel 1861, confluiscono negli eserciti contadini e cessano di essere banditi, diventando militanti della rivoluzione.
Hobsbawm esamina e presenta vari tipi di banditi: il ladro gentiluomo, i giustizieri, gli aiduchi, i requisitori anarchici (quasi-banditi).
Il ladro gentiluomo Robin Hood è il bandito più famoso e universalmente popolare. Robin Hood rappresenta ciò che tutti i banditi contadini dovrebbero essere, benché di fatto siano in pochi ad avere l'idealismo, la generosità, la coscienza sociale che il loro ruolo richiederebbe.
Per Hobsbawm le caratteristiche del bandito gentiluomo sono nove. Primo: non comincia la sua carriera di fuorilegge con un delitto, ma come vittima di un'ingiustizia o perseguitato per un'azione che l'autorità, ma non la sua gente, giudica criminosa. Secondo: raddrizza i torti. Terzo: prende dal ricco per dare al povero. Quarto: non uccide, se non per autodifesa o per giusta vendetta. Quinto: se sopravvive ritorna tra i suoi come un cittadino onorato, un membro della comunità; in effetti non si stacca mai dalla comunità. Sesto: è ammirato, aiutato e appoggiato dai suoi. Settimo: egli muore invariabilmente ed esclusivamente per un tradimento, perché nessun membro che si rispetti della comunità sarebbe disposto a collaborare con le autorità contro di lui. Ottavo: il bandito è – almeno in teoria – invisibile e invulnerabile. Nono: non è nemico del re o dell'imperatore, fonti di giustizia, ma soltanto dei signorotti locali, dei preti o di altri oppressori.
Alcuni nomi di banditi gentiluomini: Angelo Duca o Angiolillo (1760-84), Pancho Villa, Labareda, Salvatore Giuliano, José Maria «El Tempranillo», Jesse James (1847-82), Billy the Kid, Diego Corrientes, Ch'ao Kai, Kota Christov, Oleksa Dovbuš, Sergente Romano, Pernales, Vardarelli.
Fra i banditi giustizieri il più famoso fu il brasiliano Virgulino Ferreira da Silva (1898-1938), noto come «Il Capitano» o «Lampião»; fra questo tipo di banditi viene anche annoverato il calabrese Nino Martino.
Fra gli aiduchi si trovano: Doncho Vatach, Korčo, Ken Angrok.
Un buon capo brigante intrattiene relazioni con il mercato e con il più vasto universo economico tanto quanto un piccolo proprietario terriero o un ricco agricoltore. Ma essendo un ribelle ed un povero, per entrare in quel mondo, usa i mezzi alla sua portata: la forza, l'audacia, l'astuzia e la risolutezza.
I briganti fanno propri i valori e le aspirazioni del mondo contadino. Numerosi contadini, allora, diventano banditi. Nel 1860-61 le unità di guerriglieri contadini si formarono intorno, e a imitazione, delle bande dei briganti: i capi locali furono il polo d'attrazione di un flusso massiccio di soldati borbonici sbandati, di disertori, di renitenti alla leva, di prigionieri evasi, di gente che temeva di essere perseguitata per atti di protesta sociale al tempo della liberazione garibaldina, di contadini e montanari in cerca di libertà, di vendetta, di bottino, o di un po' tutte queste cose assieme. A una minoranza di uomini non disposta a sottomettersi si aggregava ora la maggioranza.
Quei briganti, se fossero stati ben guidati e organizzati, potevano fornire un contributo militare serio. Lasciati a se stessi – scrive Hobsbawm – il loro potenziale militare in quanto tale era limitato, e anche di più lo era il loro potenziale politico, come ha dimostrato il brigantaggio nell'Italia meridionale. I vari emissari e agenti segreti dei Borboni che cercarono di introdurre una disciplina e un certo coordinamento nel movimento brigantesco tra il 1860 e il 1870 non ebbero successo.
Il più famoso fra i banditi anarchici requisitori è stato lo spagnolo Francisco Sabaté Llopart «El Quico» (1913-1960). Con il termine requisizione si indicano le rapine (generalmente in banche) che servono a fornire i fondi ai rivoluzionari. L'idea anarchica è il folle sogno di un mondo in cui gli uomini agiscono guidati dalla moralità pura, così come detta la coscienza; dove non c'è povertà, non c'è governo, non ci sono prigioni né poliziotti, né imposizioni né disciplina, tranne quella proveniente dall'illuminazione interiore; dove non esistono legami sociali che non siano la fraternità e l'amore; non ci sono menzogne; non c'è la proprietà né la burocrazia. Sabaté non beveva né fumava e mangiava con la frugalità di un pastore, anche quando aveva appena compiuto un colpo a una banca. In quegli anni (tra il 1944 e l'inizio degli anni Cinquanta), a Barcellona, avere una coscienza politica significava farsi anarchico. La dedizione di Sabaté alla causa repubblicana e l'odio contro Franco non vennero mai meno. Sabaté puntigliosamente non sparava mai prima che l'avversario avesse fatto una mossa provocatoria. Fu ucciso dopo aver tentato di dirottare un treno verso Barcellona. Ma c'é chi dice che a morire non fosse stato lui.
Hobsbawm nell'ultimo capitolo del libro afferma: «Il bandito non è soltanto un uomo, è un simbolo». Anzi, il più delle volte è solo mito e favola. Non fa parte della storia. E' frutto del bisogno ancestrale, presente negli uomini, di giustizia, libertà, eroismo.
Noi invece crediamo che i banditi briganti, certamente quelli del periodo postunitario italiano (1860-1870), fanno parte a pieno titolo della storia meridionale, che deve essere riscritta e rivalutata.
Rocco Biondi

3 ottobre 2009

Berlusconi contro la libertà di stampa

Berlusconi è in guerra permanente contro la democrazia in Italia.
Di questa verità la maggioranza degli italiani non ne è consapevole. Stampa e televisioni, che formano l’opinione pubblica, sono quasi tutte nelle mani di Berlusconi. Vengono manipolate per nascondere la verità e per formare una consapevolezza malata.
Direttori di giornali e giornalisti vendono la propria coscienza e la propria professionalità al loro datore di lavoro.
Ma anche ministri e deputati fanno a gara per compiacere il loro designatore.
Leggendo i giornali e vedendo la televisione, gli italiani non conoscono la verità. Sanno solo quello che Berlusconi vuole che sappiano e nel modo che lui vuole che sappiano.
Giornali e giornalisti che svelano o tentano di svelare la verità vengono minacciati. S’invoca e si mette in atto contro di loro una censura economica e giudiziaria. S’inventano e si minacciano contro di loro falsi dossier per spaventarli.
Per conoscere la verità sull’Italia governata da Berlusconi, bisogna leggere i giornali e vedere le televisioni stranieri. Leggendoli e vedendole ci si rende conto che in Italia la democrazia è in grave pericolo.
E allora è giustificatissima la manifestazione che oggi si tiene a Roma per difendere la libertà di stampa in Italia.
Alla manifestazione, indetta dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana, partecipano liberi cittadini, associazioni, sindacati, politici, giornalisti.
Manifestazioni parallele si tengono, oltre che in altre dodici città italiane, anche a Londra, Parigi, Berlino, Barcellona. Se la libertà di stampa viene ridotta in Italia, tutto il mondo libero ne risente.
Bisogna che l’opinione pubblica italiana e internazionale, che ritiene Berlusconi inadatto a governare l’Italia, aumenti sempre di più.