26 maggio 2010

Giuseppe Pennacchia ai Sabati Briganteschi

Sabato 29 maggio 2010 - ore 19,00
Biblioteca Scolastica “Giovanni Neglia” - Piazza Ostillio – Villa Castelli (Brindisi)

Nell'ambito dei “Sabati Briganteschi” (ultimo sabato di ogni mese), organizzati dall'Associazione “Settimana dei Briganti - l'altra storia”, Giuseppe Pennacchia, Storico del Brigantaggio e Docente di Igiene Ambientale presso l’Università La Sapienza di Roma, terrà una conferenza sul tema: “Flashback sui briganti: vendicatori giustizieri guerriglieri”.

Una storia del brigantaggio può essere delineata sin dagli albori dell’umanità, quando nel consesso sociale cominciarono a differenziarsi ruoli e comportamenti, il cui giudizio, non fermato alla sola natura etica del ruolo, va approfondito in termini di effettivo contributo allo sviluppo della nostra storia, che spesso coincide con quella dei vinti. Lo stesso immaginario mitologico consolida questa figura, ponendola nel panteon divino, con qualità e missioni ben precise, a dimostrazione di quanto sia tenuta in considerazione la sua attività. Solo attraverso l’esame degli aspetti sociologici, antropologici, e se vogliamo anche letterari del fenomeno, si può dipanare quel fil rouge che accompagna la storia ufficiale fino ai giorni nostri, con l’emergere di questi eroi della contro-storia, o, meglio, di questi contro-eroi della storia. Gli aspetti essenziali dell’uomo-brigante si imperniano su quattro punti essenziali: lo switch ovvero il mutamento radicale ed improvviso del tipo di vita, le ragioni dell’inizio dell’attività brigantesca, la natura della leadership, la morte. Ed è proprio la morte, attraverso un flashback della vita del brigante, che vede quel corpo pesantemente abbattuto sul terreno, rialzarsi riprendere vita, per far riflettere ed ammonire, per dare qualche speranza a chi più non ce l’ha. Il contro-eroe, tale solo perché inviso al potere, rimette in piedi tutti i nodi di una storia sommersa che nella sublimazione eroica combatte la supremazia del forte contro il debole. Occorre riconsegnare al fenomeno del brigantaggio la concretezza della versione popolare, senza perdere di vista, di fronte alla corposità del fatto, il senso ed il significato della Storia, ma solo per arricchirlo.

Giuseppe Pennacchia, pronipote di Michele Pezza di Itri, detto Fra’ Diavolo, nato ad Ascoli Piceno nel 1944, ingegnere, dirigente d’azienda, è autore di numerose pubblicazioni nel campo dell’ingegneria dell’ambiente e dell’energia, ed è docente di Igiene Ambientale presso la Facoltà di Medicina dell’Università La Sapienza di Roma. E’ stato Sindaco del comune di Giove (Terni).

Opere di Giuseppe Pennacchia:
L’Italia dei briganti, intr. Di Paolo De Nardis (Rendina, Roma, 1999)
La guerra lampo del Tevere del 1798 (Punto Uno, Terni, 2004)
Briganti in Terra di Santi, Storie e leggende di fuorilegge in Umbria (Punto Uno, Terni, 2005)
Fra’ Diavolo. Nascita di un mito (Odisseo, Itri, 2006)
Brigantaggio in Basilicata (Odisseo, Itri, 2007)
Storie di Briganti. Dieci sceneggiati sui briganti italiani: Musolino, Crocco, Ninco Nanco, Chiavone, Tiburzi, Mayno della Spinetta, Michelina De Cesare, Francesca La Gamba (la Capitanessa), Giovanni Tolu, il Passatore (Produzione RAI International per il programma Racconto Italiano, 2009).

Sin dal mattino del 29 maggio 2010, presso i locali della Scuola Elementare in Piazza Ostillio, sarà allestita una mostra iconografica (incisioni, acqueforti, stampe) sul tema “Briganti & Brigantaggio tra '800 e '900”.

Rocco Biondi
Presidente Associazione “Settimana dei Briganti - l'altra storia”

5 maggio 2010

Noi non celebriamo l'unità d'Italia, ma ricordiamo

Noi meridionali non celebriamo, né possiamo celebrare, nessuna unità d'Italia. Ricordiamo fatti e misfatti che portarono a quell'unità, realizzatasi solo sulla carta e non nella realtà.
Il cosiddetto Risorgimento è una serie infinita di bugie che gli storici di regime hanno inculcato attraverso i libri di testo nelle scuole italiane.
Il Sud fu conquistato dai piemontesi con la forza, senza alcuna dichiarazione di guerra.
Il cosiddetto Plebiscito del 21 ottobre 1860 sull'annessione al Piemonte del Regno delle Due Sicilie fu una tragica farsa. Fu pilotato ed imposto con la forza.
Su Garibaldi ci hanno raccontato, e continuano a raccontarci, un sacco di menzogne. Nei fatti fu pirata e corsaro, mercenario e negriero, artefice di saccheggi omicidi e ruberie varie, probabile complice dell’assassinio di sua moglie Anita, amministratore incapace. Solo una propaganda interessata e gigantesca ha potuto trasformarlo in eroe nazionale.
All'annessione piemontese si opposero i Briganti, che non erano, come si volle far credere, dei criminali. Il Brigantaggio fu un vero e proprio fenomeno di sollevazione di popolo, con forti aspetti sociali e politici.
La Commissione d'inchiesta sul Brigantaggio, mandata nel Sud nel 1863, ascoltò solo i cosiddetti “galantuomini” della classe borghese, che si schierò con gli invasori piemontesi per salvaguardare i loro interessi economici. Non fu ascoltato il popolo. La colpa di tutto veniva data agli spodestati Borbone e all'ignoranza degli abitanti nelle campagne meridionali. Il brigantaggio veniva considerato delinquenza comune.
La legge Pica, in vigore dal 15 agosto 1863 al 31 dicembre 1865, sospese tutti i diritti. I reati di brigantaggio venivano giudicati dai Tribunali militari. Chi veniva trovato con le armi in mano veniva punito con la fucilazione immediata. Veniva condannato al carcere o al confino chiunque aiutava i briganti.
Il brigantaggio mise in crisi il neonato Stato unitario e per poco non riuscì a spezzarlo.
La carneficina degli “italiani” del Sud, ad opera dei piemontesi, fu immane. Statistiche ufficiali riportano che, tra il 1861 e il 1872, ci furono 154.850 caduti in combattimento, 111.520 fucilati o morti in carcere, con un totale di perdite quindi tra i Briganti di 266.370 unità. Le perdite piemontesi furono invece di solo 23.013 unità.
Altri italiani del Sud furono internati nei “lager dei Savoia”. In totale circa 58.000 uomini, fatti prigionieri, furono deportati al Nord. Il più famigerato di questi campi di concentramento fu Fenestrelle, una vecchia fortezza nella Val Chisone a 2.893 metri di altitudine, in provincia di Torino. Da quella fortezza nessuno riuscì mai ad evadere. I morti venivano gettati, per motivi igienici, in un’enorme vasca di calce viva.
L'unità d'Italia ha costretto dopo il 1861 diversi milioni di meridionali ad emigrare all'estero.
Noi non festeggiamo, ma ricordiamo.