30 luglio 2011

Briganti e pellirosse, di Gaetano Marabello

Nel libro viene tentato, per la prima volta in modo organico, un raffronto tra i pellirosse americani e i briganti dell'Italia meridionale. La storia di questi due popoli si svolgeva, con modalità molto simili, a tantissime miglia di distanza una dall'altra, senza alcun contatto fra loro. «In entrambi i casi, - scrive Marabello - quel che maggiormente impressiona è il tentativo quasi scientifico d'annichilire l'atavico modus vivendi delle popolazioni locali, praticato dai nuovi arrivati. Operazione che, lungi dall'essere attuata attraverso l'integrazione e il rispetto, sfociò invece in sistematiche azioni di genocidio fisico e culturale».
I territori dei due popoli furono occupati manu militari, camuffando l'intervento con buoni propositi e alti ideali. In realtà il vero obiettivo era e fu quello di impossessarsi delle ricchezze presenti in quei territori. In entrambi i casi si operò per conto di sovrani stranieri, senza dichiarazione di guerra.
Il settantennio che decorre dal 1799 al 1870 ha visto svolgersi a danno dei due popoli avvenimenti similari funzionali al loro annientamento. Gli invasori, in nome di uno pseudo progresso, distrussero tutto e tutti quelli che si rifiutavano di omologarsi al loro mondo.
Marabello è consapevole che il suo è un primo approccio alla complessa tematica e si propone ulteriori studi e approfondimenti. Ma l'indagine già fatta offre tantissimi spunti di riflessione e conoscenza.
Il libro si pone come un ricco dizionario di fatti e personaggi appartenenti ai due mondi, dei briganti e dei pellirosse, parallelamente confrontati. A cominciare dai segnali di sventura che profetizzarono la fine del Regno di Napoli e degli indiani. Per il primo i moti del '21, del '48, le spedizioni dei fratelli Bandiera e di Pisacane, la nota riservata della Polizia secondo la quale il famigerato Garibaldi stava cercando di mettere insieme “sei mila e più briganti per tentare un colpo di mano nel Regno delle due Sicilie”; per i secondi la comparsa di un'ape gregaria portata dall'uomo bianco. In entrambi i casi obiettivo comune era la conquista dei territori per sottrarli al vitale bisogno dei contadini meridionali e al pacifico storico possesso degli indiani.
Contro i contadini si schierarono i “galantuomini” italiani e contro gli indiani i “galantuomini” statunitensi. Fra i galantuomini italiani Marabello elenca: Camillo Benso conte di Cavour, Girolamo (Nino) Bixio, Enrico Cialdini, Enrico Morozzo della Rocca, Manfredi Fanti, Luigi Carlo Farini, Pietro Fumel, Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Govone, Alfonso Ferrero della Marmora, Gaetano Negri, Emilio Pallavicini conte di Priola, Ferdinando Pinelli, Alessandro Bianco di Saint-Joroz, Luigi Settembrini, Silvio Spaventa, Pasquale Villari. Di ognuno vengono tratteggiate significative note di demerito per i loro comportamenti e loro affermazioni contro il Sud.
Fra i galantuomini statunitensi che si sono distinti contro gli indiani vengono annoverati: George Washington, Andrew Jackson, Martin Van Buren, Abram Lincoln, John R. Baylor, James Henry Carleton, Kit Carson, George Crook, George Armstrong Custer, Thomas Sidney Jesup, Nelson Appleton Miles, Philip Henry Sheridan, William Tecumseh Sherman.
Questi galantuomini purtroppo hanno vinto. La storia ufficiale, scritta dagli agiografi dei vincitori, li esalta e li annovera fra i padri delle patrie. Ma vi è un'altra storia, quella dei vinti, che pian piano viene fuori e li valuta per quello che realmente sono stati: spesso criminali, massacratori e tagliatori di teste.
Fra i vinti meridionali e indiani, Marabello annovera sei protagonisti dalle vite parallele. La prima coppia è formata da José Borges e Chef Joseph. Ambedue accomunati da una disperata marcia effettuata. Il primo, generale spagnolo legittimista, percorre tutto il Sud d'Italia nel tentativo, poi fallito, di mettere insieme tutti i combattenti contro i Savoia per riportare i Borbone sul trono di Napoli; dopo vari successi militari, abbandonato anche da Crocco, fu tradito, catturato e fucilato presso i confini con lo Stato Pontificio. Il secondo, capo della tribù dei Nasi Forati, dopo che il suo popolo era stato condannato ad essere rinchiuso in una “riserva”, trascinandosi dietro donne vecchi e bambini, disponendo solo di 200 guerrieri, percorre oltre 3000 chilometri nel tentativo di rifugiarsi in Canada; dopo aver battuto grandi generali statunitensi, ad un soffio dall'agognata salvezza, bloccato da un'abbondante nevicata, costretto ad arrendersi, fu mandato a morire in una lontana riserva.
Singolari coincidenze accomunano anche Carmine Crocco e Geronimo. Entrambi da giovani hanno subito torti in famiglia. Entrambi, prima della loro capitolazione, per anni impegnano con le armi soverchianti forze nemiche, vincendo moltissime battaglie. Entrambi passano decenni in carcere, dove muoiono. Entrambi, all'inizio del XX secolo, dettano in carcere le loro memorie.
Vite parallele vivono anche il brigante sergente Pasquale Romano e Victorio, capo degli apache Wram Springs. Entrambi furono indotti alla latitanza da una serie di torti subiti. Entrambi condussero azioni di guerriglia, cercando di limitarne gli eccessi. Entrambi morirono combattendo a viso aperto contro un nemico soverchiante.
Tantissimi altri e su varie tematiche sono i raffronti fatti da Marabello fra pellirosse e briganti. Ne citiamo alcuni. Molte donne, nei due campi, divennero guerrigliere e seppero usare le armi con la stessa maestria degli uomini. Molte di esse rimasero uccise in combattimento. Fra le brigantesse, tra le altre, vengono ricordate Michelina De Cesare, Maria Oliviero, Serafina Cimminelli, Maria Rosa Marinelli. Fra le guerriere pellirosse viene ricordata su tutte Lozen, che riuscì a conquistarsi un ruolo importante; era sorella minore di Victorio.
Tra i mezzi di conquista e propaganda, usati dagli invasori piemontesi e statunitensi, va ricordata l'allora nascente fotografia. Venne utilizzata su larga scala durante la stagione del Brigantaggio, divenendo un vero e proprio genere. Spesso vennero organizzate delle vere messe in scena dopo la cattura dei briganti o peggio dopo la loro uccisione. Fra i pellirosse, la notorietà conquistata in tanti anni di guerriglia fece di Geronimo uno dei soggetti più ricercati dai fotografi.
Altra tragica comunanza fra briganti e pellirosse sono i tantissimi eccidi di popolazioni inermi eseguiti dai conquistatori. Nel Sud d'Italia ricordiamo la distruzione dei paesi di Casalduni e Pontelandolfo, incendiati insieme agli abitanti, effettuata il 14 agosto 1861. In America il 29 settembre 1864 viene distrutto il pacifico campo Cheyenne di Sand Creek, massacrando barbaramente vecchi donne e bambini. Quegli indiani venivano considerati come “pidocchi da schiacciare”.
Rocco Biondi

Gaetano Marabello, Briganti e pellirosse, introduzione di Valentino Romano, Capone Editore, Cavallino di Lecce 2011, pp. 144, € 12,00

24 luglio 2011

Memento Domine, di Dora Liguori


Memento Domine - Ricordati, o Signore”, è l'ultima preghiera della baronessa Argenzia prima di morire per chiedere la salvezza della sua anima, ma è anche l'invocazione del notaio Gaudieri, marito della baronessa, affinché finalmente venga fatta giustizia di quello che di feroce è stato fatto ai meridionali nel nome dell'unità d'Italia. Accesa borbonica lei, liberale pro-Savoia lui. Ma con il passare degli anni pian piano tramontano le illusioni del notaio. Con la seguente riflessione accolse la notizia della morte di Garibaldi: «Più vado avanti e più penso che era meglio se restava a casa sua, senza venirci a liberare. Quello che c'è stato fatto non te lo potevi aspettare manco dalle bestie feroci; ci hanno sbranato e nessuno ancora viene a rendercene conto».
Il romanzo storico di Dora Liguori ha come teatro degli avvenimenti i luoghi tra la Certosa di Padula e Potenza.
Il libro è introdotto da un'ampia sintesi del quadro storico di riferimento. Nel gennaio 1859 Vittorio Emanuele II di Savoia, re del Piemonte, in una seduta del parlamento torinese affermava di aver udito “un grido di dolore” proveniente dal meridione, che chiedeva la liberazione. Pura retorica, per giustificare il progetto di annessione per appropriarsi dei beni del ricco meridione; progetto spalleggiato dall'Inghilterra che mirava ad avere un affaccio privilegiato sul Mediterraneo. La massoneria inglese aiutò e finanziò il progetto. Cavour, Mazzini e Garibaldi si impegnarono per unire chi non aveva mai chiesto di essere unito. Le imprese di Garibaldi furono facilitate dall'acquistato tradimento dei generali borbonici, dalla collaborazione della mafia siciliana, dai contadini ai quali era stata promessa la terra. Salvo poi a sparare addosso a questi ultimi che la terra la rivendicavano veramente.
Il re Borbone Francesco II è costretto ad andare in esilio. Nascono i Comitati che si prefiggono di riportarlo sul trono di Napoli. Soldati del disciolto esercito borbonico e briganti (insorgenti, resistenti) danno vita alla guerriglia armata contro l'esercito piemontese invasore. Ai capibriganti indigeni si tenta di affiancare esperti generali stranieri venuti in soccorso dei Borbone. A Carmine Crocco Donatelli, capobrigante genialissimo per furbizia, strategia e capacità organizzative, viene affiancato il generale spagnolo José Borges. Insieme ottengono vari successi militari contro i piemontesi. Ma per l'inspiegabile rinuncia di Crocco non tenteranno la programmata conquista della città di Potenza. Borges viene preso e fucilato a Tagliacozzo. Quella dei briganti non è una lotta di delinquenti ma una vera guerra di popolo che reclamava il diritto alla propria indipendenza. Ma persero. Ne furono uccisi un numero spaventoso; si calcola che l'ottanta per cento degli uomini validi del Sud furono eliminati: un vero e proprio genocidio.
Il libro della Liguori non vuole essere un saggio storico, ma solo la rappresentazione di una storia di tradizione orale consumatasi nell'arco di circa tre mesi, nell'autunno del 1861.
Il giovane capitano spagnolo Aldrigo Seguerto, ingegnere, viene mandato dalla regina Isabella di Spagna nell'ex Regno delle Due Sicilie assumendo nome e vesti di un prete gesuita francese, studioso di fenomeni vulcanici. In realtà è una specie di agente segreto che dovrà dare copertura politica alla spedizione capeggiata dal generale Borges. Viene messo in contatto con la baronessa Argenzia Normanno, che pur soffrendo di qualche squilibrio mentale, ma possedendo numerose masserie è in grado di mandare in giro suoi uomini fidati per raccogliere notizie sugli spostamenti dei briganti. Seguerto, aiutato dalla baronessa, prende contatto con i comitati borbonici di Melfi e Potenza e riesce a fare incontrare Crocco e Borges.
Fra la baronessa Argenzia e il capitano Seguerto scoppia una smodata passione dei sensi. Ne nascerà un figlio che verrà adottato dal notaio Gaudieri.
Nella storia entra anche l'ambigua figura di Liborio Romano, che era stato ministro dei Borbone, ma poi era passato con i Savoia. Ma a modo suo conserva sempre la fede meridionalista. Alla fine del romanzo, col generale La Marmora che è andato a fargli visita, così si sfoga: «Questa nostra terra, voi piemontesi, invece di democraticamente liberarla, la state affliggendo di troppe piaghe. Vi avevamo accolti da liberatori e siete divenuti invasori, instaurando per giunta un'autentica dittatura. Al governo è sembrato più utile privilegiare la linea dei cosiddetti “galantuomini annessionisti” da quella più saggia dei “democratici autonomisti”. L'unità si poteva e si doveva fare garantendo ad ognuno le proprie autonomie. Prima stavamo male, ma almeno tenevamo qualcosa, adesso che, secondo a Vittorio, stiamo meglio... non teniamo niente. Vi meravigliate allora dei briganti e provate scandalo per l'appoggio che a loro sta dando il popolo? Il popolo si vuole vendicare delle ingiustizie; ha scoperto che erano meglio i Borbone, almeno quelli non hanno mai massacrato nessuno».
Rocco Biondi

Dora Liguori, Memento Domine (Ricordati, o Signore), Le verità negate sulla tragedia del Sud fra Borbone, Savoia e Briganti, romanzo, Sibylla Editrice, Roma 2007, pp. 306, € 15,00


21 luglio 2011

Il Brigantaggio nel Salento, di Carlo Coppola


Libro pubblicato nel 2004, molto snello come numero di pagine ma corposo nei contenuti. Oltre a presentare gli avvenimenti accaduti nell'Italia Meridionale nel periodo 1860-1865, viene portata alla luce la violenza esercitata sulla coscienza del popolo meridionale dalla storiografia ufficiale. Nella scuola italiana, dalle università alle elementari, i fatti sono stati distorti nell'interesse della cultura delle classi dominanti. Il popolo meridionale è stato privato della vera memoria storica, nascondendo e distruggendo quanto ritenuto inopportuno, con la conseguenza che esso «ancora oggi paga lo scotto economico e politico di un'unità nazionale che esiste solo sulla carta, imposta con l'inganno e la violenza e mantenuta con l'astuzia», scrive nella sua premessa Carlo Coppola. I “pennivendoli” Croce, Gentile, De Amicis, Carducci, Verga, D'Annunzio, Fucini e un'intera schiera di loro epigoni hanno imposto una storia del Meridione che non è quella vera.
Il Brigantaggio, dice Coppola, anche con i suoi errori e le sue storture, fu l'ultimo tentativo del popolo meridionale di rimanere libero. Ricordare, anzi, imparare a conoscere il brigantaggio per quello che fu veramente, potrebbe essere un primo passo verso una coscienza di se stessi che è preludio all'emancipazione politica, sociale ed economica.
Il Brigantaggio, che fu resistenza contro gli invasori piemontesi, ha interessato tutto il Meridione d'Italia e quindi anche il Salento. Briganti salentini furono Pasquale Romano di Gioia del Colle ricordato come il “Sergente Romano”, Cosimo Mazzeo di San Marzano soprannominato “Pizzichicchio”, Rosario Parata “Lo Sturno” di Parabita, Quintino Venneri “Melchiorre” di Alliste.
Non è vero che il Regno delle Due Sicilie, prima del 1861, fosse una terra arretrata, dedita solamente all'agricoltura estensiva, priva di qualsiasi forma di industria e sottoposta ad un regime politico repressivo e retrogrado.
In campo economico i Borbone avevano stimolato la nascita di industrie per emancipare il regno dalle importazioni estere, riuscendo ad attirare capitali ed investitori stranieri e dando lavoro a parecchie persone. Gli stabilimenti siderurgici di Mongiana e di Ferdinandea, in Calabria, contavano circa 4000 operai. Negli stabilimenti metalmeccanici di Pietrarsa, vicino Napoli, erano impiegati più di 4000 operai. I motori economici dello Stato erano la Campania industriale, la Puglia agricola e commerciale, la Calabria con i suoi giacimenti di ferro e le industrie metallurgiche.
Dall'Annuario Statistico Italiano dell'anno 1862 risulta che la moneta circolante nel Regno di Napoli nel 1860, calcolata in lire-oro, era superiore a quella di tutti gli altri Stati messi insieme: 443.200.000 a Napoli, 226.000.000 nei restanti Stati. La bilancia commerciale era positiva nel Regno di Napoli (+ 41 milioni circa), nel Lombardo-Veneto (+ 42 milioni circa), Umbria e Marche (+ 11 milioni circa), era invece altamente negativa nel Pimonte (- 85 milioni circa).
Il Regno duosiciliano era dotato di un fisco agile e leggero – appena 5 tipi di tasse e imposte, contro le 37 imposte dai piemontesi già nei primi anni dell'unità – permettendo un tenore di vita medio non alto ma dignitoso.
Il Salento, che costituiva la Provincia di Terra d'Otranto, si estendeva dal Capo di Leuca fino al Golfo di Taranto con parte dell'odierna Basilicata, comprendeva un territorio di circa 6.500 chilometri quadrati suddivisi in 130 comuni e 70 borgate con una popolazione di circa mezzo milione di abitanti.
Nel Salento diffusissime erano le banche, esistevano ben 145 istituti di credito tra banche agricole, monti di pegno e monti frumentari. Con l'arrivo dei piemontesi fu tutto smantellato e rapinato.
Come in tutto il Regno, anche nel Salento, pur se con minore intensità essendo la proprietà fondiaria molto più frammentata rispetto al resto del meridione, esisteva l'eterno dissidio tra i feudatari proprietari terrieri e i contadini che lavoravano le terre. La dinastia Borbone, in questa lotta, era schierata con il popolo contro i cosiddetti “galantuomini”. Attraverso una mirata legislazione venivano difesi i diritti di chi nei fatti possedeva e lavorava la terra. L'avventura garibaldina e la conseguente unità d'Italia rompe questo delicato equilibrio. Il popolo meridionale, privato dell'alleato Borbone, rimase alla mercé degli eterni nemici “galantuomini”. Tutte le promesse garibaldine sulle quotizzazione delle terre non vengono mantenute. I contadini vengono ridotti alla fame. Non resta che la rivolta.
Dopo il plebiscito-truffa le masse contadine in tutto il Meridione ed anche nel Salento si mettono in subbuglio. A cominciare dagli ultimi mesi del 1860 scoppiano tumulti contro i piemontesi, con sorti alterne, a Tuglie, a Sava, a Surbo, a Matino, a Parabita, a Sternatia, a Poggiardo, a Marittima, a Oria, a Taviano, ed in tantissimi altri centri. Il governo di Torino avrebbe potuto cercare la pacificazione, attraverso una vigorosa riforma agraria e un approccio moderato. Risponde invece con i fucili, spostando nel Meridione la maggior parte dell'esercito “italiano”, e con la leva obbligatoria.
E' l'innesco del grande brigantaggio.
La maggior parte dei giovani meridionali arruolabili si da alla macchia e si unisce agli sbandati del disciolto esercito borbonico. Nascono tante bande, capitanate da uomini valorosi. Il problema del rifornimento di armi viene risolto assaltando le caserme della guardia nazionale.
Gli scontri a fuoco tra bande di briganti e truppe piemontesi sono tantissimi.
Il 4 agosto 1861 la banda guidata da Rosario Parata detto lo “Sturno”, sottoufficiale del disciolto esercito borbonico, nativo di Parabita, invade il Comune di Supersano, e nei giorni successivi quelli di Scorrano e Nociglie. Negli stessi giorni Donato Rizzo, detto “sergente”, assalta con i suoi la caserma della guardia nazionale di Carpignano.
Dopo i primi successi le bande si ingrossano sempre di più ed altre se ne formano. La banda di Quintino Venneri detto “Melchiorre”, nativo di Alliste, scorrazza nella valle di Taviano-Matino. La banda di Salvatore Coi opererà nella zona del Capo di Leuca. Cosimo Mazzeo di San Marzano, detto “Pizzichicchio”, acquisterà grandissima fama per essere riuscito per un lungo periodo a tenere in scacco e a battere ripetutamente le truppe regolari. La personalità più di spicco fra i briganti-ribelli fu Pasquale Romano, detto “Il Sergente Romano”, militare di carriera borbonico nativo di Gioia del Colle. Il Romano nel luglio 1862 riesce ad ottenere ad Alberobello una vittoria schiacciante contro i soldati regolari piemontesi.
Nell'agosto 1862 tutti i principali capibanda di Terra d'Otranto si riunirono nel bosco della Pianella, vicino a Taranto, per concordare una strategia comune. Pasquale Romano viene nominato capo supremo, riuscendo ad avere a disposizione circa 700 uomini a piedi e 300 a cavallo.
La rivolta diventa guerra civile, il Salento e l'intero Meridione sono in fiamme.
Il governo sabaudo cerca di nascondere e minimizzare l'entità della rivolta, tentando di far credere che i briganti sono dei delinquenti comuni. Ma non tutti abboccano. Un deputato in una seduta parlamentare a Torino afferma: «E' possibile, come il governo vuol far credere, che 1500 uomini comandati da due o tre vagabondi tengano testa ad un esercito regolare di 120.000 uomini?». Si risponde con la Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio e la Legge Pica, attraverso la quale si autorizzò l'esercito a stroncare ogni forma di ribellione attraverso delle misure repressive, scrive Carlo Coppola, che niente avevano da invidiare a quelle che saranno poi attuate dai due virtuosi del genocidio del XX° secolo: Hitler e Stalin. Inizia per il Salento e per il Meridione tutto una delle pagine più buie della propria storia.
La spietata repressione che si abbatté su tutto il Meridione ebbe ragione della ribellione. La Pica, scrive Coppola, non fu una legge, fu un'infamia.
Il Salento in appena 5 anni, scrive ancora Coppola, arretra economicamente di 50 anni. Unica soluzione rimase l'emigrazione. «I Salentini cercheranno fortuna prima nei paesi dell'America Latina, poi negli Stati Uniti e alla fine nei paesi più ricchi del Continente Europeo: Germania, Francia, Svizzera, Belgio, contribuendo ponderosamente, con le proprie rimesse, alla costruzione del sistema industriale del nord Italia e divenendo quella coloniale riserva di manodopera a basso costo a servizio dello sviluppo e del benessere dei nostri connazionali padani e di qualche “galantuomo” locale».
Forse ci conviene ridiventare briganti.
Rocco Biondi

Carlo Coppola, Il Brigantaggio in Terra d'Otranto, Ribellione popolare e repressione militare dal 1860 al 1865, Associazione Culturale Area, Circolo di Matino “Raffaele Gentile”, Matino (LE) 2004, pp. 88