26 gennaio 2012

Brigantaggio postunitario - Una storia tutta da scrivere, di Fernando Riccardi

Sabato 28 gennaio 2012 - Ore 18.00
Sala Consiliare Comune di Villa Castelli (Brindisi)
Piazza Municipio

Associazione
Settimana dei Briganti - l'altra storia”
Villa Castelli (Brindisi)

in collaborazione con
Associazione Euclidea
Villa Castelli

nell'ambito de
I SABATI BRIGANTESCHI

organizza
la presentazione del volume
Brigantaggio postunitario - Una storia tutta da scrivere
di Fernando Riccardi

PROGRAMMA
Introduce: Vito Nigro
Coordina: Rocco Biondi

Presentazione
Roberto Della Rocca

Giornalista, direttore de “il Giornale del Sud”. Laurea in Scienze Politiche presso la Luiss di Roma. Socio fondatore dell'“Istituto di Ricerca Storica delle Due Sicilie”. Relatore in diversi convegni sul meridionalismo.

Relazione

FERNANDO RICCARDI
Giornalista e scrittore, è stato direttore responsabile de “Il Corriere del Sud Lazio”, il settimanale delle province di Frosinone e di Latina. Cura le pagine culturali de “L'Inchiesta” quotidiano dell'alta Terra di Lavoro e della Ciociaria. E' autore di diverse pubblicazioni di carattere storico e, in particolar modo, di studi e saggi sul brigantaggio nell'Italia meridionale. Su tale fenomeno tiene conferenze, convegni e seminari di studi in tutta Italia.


Questo libro, frutto di lunghe e approfondite ricerche negli archivi dell'Italia meridionale, vuole ricostruire per sommi capi la vera storia del brigantaggio postunitario, “una storia ancora tutta da scrivere”. Attraverso alcuni flash, rapidi ma incisivi, viene messo a nudo in tutti i suoi variegati aspetti un fenomeno controverso ma drammaticamente reale che troppi, ancora oggi, osservano con la lente distorta del pregiudizio. Un fenomeno che “fa parte della nostra storia e gli uomini che per esso morirono e soffrirono concorsero pur essi in qualche modo a determinare le ulteriori vicende del nostro paese”.

Info: 338 8818433 (Rocco Biondi)
Email: info@settimanadeibriganti.it 


Brigantaggio postunitario - Una storia tutta da scrivere, di Fernando Riccardi


Fernando Riccardi nell'introduzione al suo libro scrive che ha soltanto gettato un minuscolo seme nel terreno della vera storia del brigantaggio. Noi riteniamo che abbia fatto qualcosa di più, specialmente quando individua e descrive le cause che hanno dato vita a quel fenomeno; solo mettendo assieme tutte quelle cause e concatenandole organicamente può essere spiegata la genesi del brigantaggio postunitario, nessuna di esse presa isolatamente ha svolto un ruolo decisivo.
Dai piemontesi fu abolito il concordato firmato nel 1818 tra la Santa Sede e il Regno delle Due Sicilie e furono emanati una serie di decreti che abolivano pressoché totalmente la proprietà ecclesiastica, che fino ad allora aveva costituito una vitale risorsa per i tanti che vivevano in situazioni di precarietà e di indigenza. Era scontato che questo avrebbe alimentato il fuoco della rivolta, ma al governo sabaudo importava solamente incamerare l'ingente patrimonio ecclesiastico per rimpinguare le sue esangui casse.
Il carico fiscale si abbatté come una mannaia sulle popolazioni dell'ex regno napoletano. Prima dell'avvento dei piemontesi le tasse in vigore erano soltanto cinque, che pesavano principalmente sui possidenti. Tutto ad un tratto vennero introdotte una caterva di tasse, che andarono ad incidere soprattutto sulle classi più umili. Lo scopo era ben preciso: tutelare la ricca borghesia liberale che aveva abbracciato la causa unitaria e stritolare chi già si dibatteva in enormi difficoltà. E poi venne anche la tassa sul macinato. Le proteste dei "cafoni" furono sedate con le fucilate.
L'obbligatorietà del servizio militare nell'esercito borbonico in pratica era solo nominale, lo svolgevano i volontari che erano tantissimi. Con i piemontesi la leva divenne obbligatoria. La stragrande maggioranza dei giovani meridionali disertò. Non volevano lasciare la loro terra per andare a morire lontano e non volevano privare le loro povere famiglie di braccia lavoro (il servizio durava sei anni). I piemontesi arrestavano i renitenti e fucilavano chi si opponeva. Chi si salvò scappò in montagna ad ingrandire l'esercito dei briganti.
L'eterna promessa di dare le terre a chi le lavorava (almeno quelle demaniali) spinse molti giovani meridionali ad arruolarsi con Garibaldi. Ma anche questa volta rimasero fregati. Le terre demaniali furono messe in vendita, ma vennero tutte accaparrate dai ricchi "galantuomini", che avevano i soldi per comprarle. Ai poveri "bracciali" non restava che fame, miseria e disperazione. E divennero briganti, lottando per se stessi e per la terra.
Conseguenza del passaggio delle terre demaniali ai ricchi fu l'abolizione degli usi civici. Fino ad allora i poveri meridionali avevano potuto frequentare liberamente le terre del demanio pubblico, raccogliendo legna, olive, funghi, erbe, bacche, ghiande e altro, per sfamare se stessi e i loro animali. Ora tutto ciò fu impedito. E per non morire di inedia furono costretti ad imbracciare il fucile e rifugiarsi nelle montagne e nei boschi. Da briganti si beveva, si mangiava e non si moriva di fame.
Ed infine la popolazione meridionale nutriva un profondo attaccamento alla monarchia borbonica, che si era sempre schierata in difesa e al fianco del popolo. Quando gli ultimi due giovani regnanti furono cacciati dal loro Regno con le armi, senza alcuna dichiarazione di guerra, il popolo si schierò dalla loro parte. I briganti andarono all'assalto dei soldati piemontesi e morivano gridando "viva re Francesco" e "abbasso Garibaldi e il re Savoia".
Tra i briganti troviamo contadini, braccianti, coloni, massari, pastori, mulattieri, carbonai, guardiani, ma anche artigiani, commercianti, possidenti, aristocratici, funzionari, ed ancora preti, frati, canonici, abati, vescovi, ed anche garibaldini.
«Tutto questo variegato cosmo di umanità - scrive Riccardi - contribuì a tenere desta per dieci lunghi anni, e anche di più come dimostrano alcuni recenti studi, la rivolta brigantesca».
Fu una lotta di popolo, di cui la storiografia ufficiale non parla.
Il libro poi tratta di uomini e fatti più significativi del Brigantaggio: il lucano Carmine Crocco, il brigante più famoso del decennio postunitario, che con la sua banda a cavallo, che in alcuni momenti raggiunse le 1.500 unità, riportò una serie di clamorose vittorie contro le truppe sabaude; il pugliese Pasquale Romano, il più importante fra i briganti politici, ex sergente dell'esercito borbonico divenne mito e simbolo della lotta senza quartiere allo straniero invasore; i legittimisti stranieri: rampolli di nobili famiglie, militari di ogni ordine e grado, avventurieri in cerca di emozioni forti, artisti, scrittori, poeti, romanzieri e letterati, che vennero in aiuto del re borbone Francesco II e della regina Maria Sofia, fra essi vengono ricordati lo spagnolo generale José Borges, il belga marchese Alfred de Trazegnies, il tedesco nobile Edwin Kalkreuth; le brigantesse, a volte più risolute e determinate dei loro compagni, fra esse Maria Oliverio (Ciccilla), Maria Capitanio, Michelina De Cesare; la deportazione di un ingente numero di prigionieri napoletani nei lager del Nord (Fenestrelle il più tristemente famoso), dove venivano lasciati morire e sciolti nella calce viva per non lasciarne traccia; la commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio, mandata nel Sud con il compito assegnato di convincere il parlamento a promulgare una legge che attribuisse ai tribunali militari la competenza a giudicare i briganti (legge Pica); la persecuzione spietata da parte piemontese contro le gerarchie e le istituzioni ecclesiastiche: moltissimi vescovi meridionali vennero allontanati dalle loro diocesi, molti seminari diocesani vennero chiusi, oltre 2.300 conventi e monasteri furono chiusi e quasi 30 mila religiosi messi in mezzo alla strada; i fotografi dei briganti, che accompagnarono l'esercito piemontese durante tutta la campagna del Sud, utilizzati per fini propagandistici affinché descrivessero il fenomeno brigantesco non per quello che realmente era ma per ciò che il governo piemontese voleva che apparisse.
Peculiarità del libro di Fernando Riccardi è l'aver collegato episodi storici del brigantaggio, avvenuti 150 anni fa, alla rievocazione che di quegli episodi vien fatta ai giorni nostri. L'avventura di Carmine Crocco viene rappresentata ogni anno per l'intero periodo estivo nel parco della Grancìa, a Brindisi di Montagna in provincia di Potenza, con un eccezionale cinespettacolo dal titolo "La storia bandita". L'arresto e la fucilazione di José Borges vengono commemorati da una decina d'anni l'8 dicembre a Sante Marie in provincia dell'Aquila. Il 6 gennaio di ogni anno viene celebrata, in una cerimonia rievocativa, l'uccisione del sergente Romano nel bosco di Vallata a Gioia del Colle in provincia di Bari. Allo stesso sergente brigante Pasquale Romano è stata intitolata una strada a Villa Castelli in provincia di Brindisi.
Rocco Biondi

Fernando Riccardi, Brigantaggio postunitario - Una storia tutta da scrivere, Arte Stampa Editore, Roccasecca (Fr) 2011, pp. 222, € 20,00

8 gennaio 2012

La mobilitazione legittimista contro il Regno d'Italia: la Spagna e il Brigantaggio meridionale postunitario, di Aldo Albònico

Libro rimasto a tutt'oggi fondamentale per conoscere e capire l'intervento legittimista spagnolo in favore del Re Borbone e contro il Regno d'Italia dei Savoia. Viene illustrata l'ampiezza di quell'impegno attraverso l'esame di una copiosa documentazione inedita dispersa negli archivi spagnoli, italiani e vaticani. Il periodo interessato va dal 1860 al 1866.
Per legittimismo qui si intende la lotta armata contro i Savoia piemontesi nel tentativo di riportare sul trono del Regno delle Due Sicilie lo spodestato re borbone Francesco II, al quale si continuava a riconoscere il legittimo diritto di ritornare sul trono. Attori principali furono degli ufficiali carlisti che avevano combattuto la guerra di successione a fianco di Don Carlos Isidro, perdendola; regina di Spagna era divenuta invece Isabella II.
Il governo spagnolo, guidato dal generale Leopoldo O'Donnel, nella questione italiana si attenne nei fatti ad una comoda neutralità, come del resto l'Austria e la Russia, e tuttavia una qualche compromissione della Spagna si diresse più in favore di Pio IX che di Francesco II, anche se tale sostegno fu solo di carattere diplomatico.
Il diplomatico spagnolo Salvador Bermúdez de Castro si schierò apertamente dalla parte del Re Borbone in esilio a Roma. Fin dal 1853 era ministro di Spagna presso la Corte napoletana, amico personale di Francesco II lo seguì prima a Gaeta e poi a Roma; cooperò attivamente a favorire la reazione armata. Caldeggiò in tutti i modi l'impresa di Borges.
Il generale José Borges nel 1861 aveva 48 anni, aveva partecipato in Spagna al primo conflitto carlista insieme al padre, nel secondo (1847-49) era stato generale di brigata e comandante in capo dei carlisti di Tarragona, nel 1860 aveva appoggiato il tentativo insurrezionale del conte di Montemolín (Carlos VI secondo la successione legittimista). Dopo la sconfitta si rifugiò in Francia, dove per vivere fece modesti lavori, tra cui il rilegatore di libri. Ma non rinunciò mai alla sua vocazione militare. Offrì senza riuscirci i suoi servigi all'esercito pontificio. Aderì entusiasticamente alla causa borbonica. Tentò senza successo di entrare nelle fortezze assediate di Gaeta e Messina.
La grande avventura di Borges inizia con lo sbarco, al calar della notte del 13 settembre 1861, su una spiaggia vicino a Brancaleone in Calabria. Erano in 20, di cui 18 spagnoli e due napoletani. Erano partiti da Malta la notte dell'11 settembre. Si uniscono per alcuni giorni con la banda del brigante Mittica, composta di circa 120 uomini. Ingaggiano alcuni conflitti a fuoco con i piemontesi. Il 19 ottobre Borges si incontra nel bosco di Lagopesole in Basilicata con il capo brigante Carmine Crocco. Combattono insieme ed ottengono molti successi. Riescono a mettere insieme forse 3.000 uomini. Ma fra i due la visione di come condurre l'offensiva è totalmente diversa ed inconciliabile. Il comando non venne mai davvero affidato a Borges, che deluso rinuncia e prende la strada per Roma, seguito dagli spagnoli e da alcuni insorti locali. Ma prima di varcare il confine dello Stato pontificio vengono arrestati e fucilati a Tagliacozzo l'8 dicembre 1861. Erano 17, di cui 8 napoletani e 9 spagnoli. Fra questi ultimi vi era José Borges. Addosso gli furono trovate varie carte, tra le quali un taccuino-diario scritto in francese. Finiva così, con un totale fallimento, la prima spedizione di spagnoli al servizio dei Borbone napoletani.
Mentre si svolgeva l'offensiva di Borges, le autorità borboniche a Roma non avevano cessato di approntare altre iniziative. Il catalano Rafael Tristany, anch'egli come Borges carlista e generale di brigata, giunse a Roma per porsi al servizio di Francesco II nel novembre 1861. Aveva 47 anni. Dopo il fallimento di due precedenti tentativi, Tristany nel marzo 1862 intraprende una nuova campagna contro il Regno sabaudo sui monti al confine tra lo Stato pontificio e l'Abruzzo. Vi rimase per più di un anno. Le forze armate del Papa, che presidiavano quel confine, non opposero mai un serio impedimento alla guerriglia. La stessa accondiscendenza veniva data dai soldati francesi fin quando furono comandati dal filolegittimista generale Charles de Goyon. Obiettivo di Tristany era quello di riunire i legittimisti spagnoli, francesi e tedeschi insieme ai briganti di Luigi Alonzi, detto Chiavone, che operava presso Sora e comandava una banda di circa 200 uomini. Ma anche in questo caso non furono buoni i rapporti tra lo straniero Tristany e l'indigeno Chiavone. Questa volta però ad avere il sopravvento fu lo spagnolo, che fece arrestare e fucilare il capo brigante (anche se alcune versioni non danno per morto Chiavone). Successivamente Tristany fu arrestato dai francesi e allontanato definitivamente dall'Italia. In un suo diario Tristany ha sostenuto che il fallimento della lotta armata borbonica fu determinato dalla mancanza di denari e di quadri e dai contraddittori ordini dei Comitati borbonici. I giudizi che vengono dati su Tristany sono per lo più ostili, fino all'accusa di grande venalità che lo avrebbe fatto passare addirittura con i piemontesi. Albònico però lo difende e ne da un giudizio complessivamente positivo.
Altro personaggio spagnolo che entra nelle vicende della lotta borbonica è il luogotenente di Tristany, il carlista spagnolo Juan Serracanta, falegname ebanista, che come tanti altri, sia italiani che stranieri, hanno sfruttato le operazioni della Corte borbonica per fare soldi. Serracanta effettua uno spudorato doppio gioco e in cambio di denaro promette di far cadere i suoi uomini, spagnoli e napoletani, nelle braccia dei piemontesi. Questi ultimi in questo affare spendono parecchi soldi, ma con scarsissimi risultati.
Altri spagnoli di un certo rilievo che hanno appoggiato la lotta legittimista sono stati il colonnello Silvestre Bordanova, prima carlista e poi appartenente alle forze armate regolari spagnole, e Agustín Capdevila, compagno d'armi di Borges. Ambedue avevano partecipato alla difesa di Gaeta. Successivamente Bordanova si ritirò in Spagna, mentre Capdevila fu fucilato dai piemontesi a Lagopesole, in Basilicata, nel gennaio 1862.
In totale il numero degli spagnoli impegnati nel tentativo di organizzare l'opposizione armata al Regno d'Italia piemontese non superò il centinaio.
Albònico chiude il suo libro tirando delle conclusioni, che sostanzialmente condivido. Grande è stata la pochezza morale, ma anche militare e politica, dei protagonisti della vicenda, sia borbonici che piemontesi; non si riesce a individuare quale delle due parti sia ricorsa a metodi peggiori, chi abbia commesso più malefatte. La fine del brigantaggio politico è da fissare non alla fine del 1861 con la morte di Borges, come molti fanno, ma alla fine del 1863 con la firma della convenzione franco-piemontese e la scomparsa dalla scena di Tristany, Bosco e Serracanta. I briganti inoltre combattevano una loro guerra autoctona, parallela a quella in favore di Francesco II. Molto grande fu la profusione di denaro pubblico da parte del Ministero dell'Interno piemontese per pagare agenti provocatori, che talvolta sfruttarono anche i cosiddetti briganti. Viene rivalutata la figura di Francesco II, che non è assolutamente spregevole e insignificante come interessatamente lo dipinge la pubblicistica liberale filopiemontese.
Ancora da approfondire rimane il coinvolgimento spagnolo extragovernativo a favore dei Borbone, quale quello della regina Isabella II, dei vescovi e dei maggiorenti del carlismo.

Aldo Albònico, La mobilitazione contro il Regno d'Italia: la Spagna e il Brigantaggio meridionale postunitario, Giuffrè Editore, Milano 1979, pp. 402