8 aprile 2012

La banda Manzo, di Antonio Caiazza


Caiazza parlando dei monti che circondano Acerno, in provincia di Salerno, scrive: «In questi luoghi e in quelli circostanti riecheggiano ancora gli spari e le voci dei briganti, ancora spuntano come ombre il mantello, il cappello a cono e l'archibugio di Manzo, Tranchella, Giardullo; gli alberi, le rocce e le acque parlano di antichi fatti, i quali o hanno acquistato un alone di leggenda o hanno lasciato tracce impercettibili, che ormai sfuggono e si dissolvono nel naufragio del racconto e della memoria dei più vecchi».
Altro "naufragio" è quello che è avvenuto per i documenti degli Archivi, non solo ad opera dei topi e dell'umidità ma anche di chi ha voluto e vuole tuttora nascondere la verità sul brigantaggio politico e sociale.
Il libro, pubblicato nel 1984, prende le mosse e si impernia sulla "memoria" scritta di Isacco Friedli, uno svizzero che fu sequestrato, insieme a Federico Wenner, Giovan Giacomo Lichtensteiger e Rodolfo Gubler, dalla banda brigantesca di Gaetano Manzo il 13 ottobre 1865. Obiettivo principale del sequestro era Federico Wenner, figlio di Alberto Wenner titolare di un industria tessile, fra le più moderne d'Europa, dislocata nel salernitano. Gli altri tre erano dipendenti dei Wenner: Lichtensteiger un disegnatore, Gubler un commesso, Friedli un istitutore.
La "memoria" di Friedli ha destato in Caiazza una "curiosità" che lo ha spinto a consultare gli Atti della Prefettura e del Tribunale nell'Archivio di Stato di Salerno. Ne è venuto fuori un libro, che contiene fatti e notizie inedite sul sequestro Wenner e sulla banda Manzo, e che è stato pubblicato - dice Caiazza - "nella speranza di una sua utilità", salvando così un piccolo relitto del naufragio, dal quale risulta uno scorcio interessante e attuale del brigantaggio "non politicizzato". Narrando di fatti avvenuti nel 1865 l'aspetto riguardante la fedeltà al Papa e al Re Borbone contro "l'invasore" straniero è quasi del tutto inesistente. Il brigantaggio allora aveva invece molte implicazioni sociali, economiche e umane.
Le masse del Sud non hanno partecipato alla determinazione della cosiddetta unità d'Italia. Il Potere le escludeva e le sfruttava senza dare niente in cambio. Il Potere era il nemico che imponeva le tasse e il servizio di leva. Quando non se ne poteva più, ci si ribellava; e il coraggioso che si faceva brigante dandosi alla campagna era il simbolo del riscatto per i deboli, il vendicatore dei torti subiti, e perciò veniva ammirato e sostenuto. Ci si dava al brigantaggio o per sottrarsi all'obbligo della leva o perché stanchi di far la fame pur lavorando o per spirito di avventura attratti dalla vita libera dei boschi e dei monti.
Il capobanda Gaetano Manzo era nato in Acerno nel 1837. Divenne brigante perché perseguitato, in quanto renitente alla leva imposta dai piemontesi. Operò dapprima nella banda capitanata da Antonio Maratea detto Giardullo, finché nell'aprile del 1865 non costituì una sua banda, composta da una ventina di uomini.
Manzo sembra identificarsi perfettamente con il modello antropologico del "bandito gentiluomo", così come descritto da E.J. Hobsbawn. Inizia infatti la sua carriera di fuorilegge come vittima di un'ingiustizia per un'azione che l'Autorità e non la sua gente giudica criminosa; prende al ricco (inglesi e svizzeri, ma anche ricchi agrari e borghesi italiani) per dare al povero; si giustifica del primo reato di ricatto ed estorsione e del sequestro Moens come autodifesa o necessità; ritorna alla vita civile come un cittadino onorato, si arrende e si sottopone al processo; è ammirato e appoggiato dal popolo; muore a Flùmeri per un tradimento, perché nessun membro che si rispetti della comunità sarebbe disposto a collaborare contro di lui; è invisibile e invulnerabile; non è nemico delle Istituzioni, a cui si rivolge spesso dal carcere per ottenere comprensione e clemenza, ma soltanto dei signorotti locali.
La parte centrale del libro, per 89 pagine, è occupata dalla traduzione, fatta da Caiazza insieme a Ettore Locatelli, della lettera del signor Friedli, istitutore nella famiglia del signor Friedrich Albert Wenner, in Fratte di Salerno, al suo allievo tredicenne Robert Wenner, datata 20 febbraio 1866. La liberazione e la fine del sequestro erano avvenute il 10 febbraio 1866. Il titolo che viene dato a questo documento è "Quattro mesi tra i briganti (1865-1866)".
Prima di questa "memoria" nel libro sono presenti alcuni capitoli che narrano delle imprese di Manzo e degli altri componenti della sua banda. Un primo capitolo è dedicato alle attività del capobrigante Manzo prima del sequestro Wenner, dall'aprile 1863 all'ottobre 1865; si narra di molti sequestri ai quali ha partecipato Manzo, nella maggior parte dei casi componente della banda Giardullo, fino al sequestro effettuato dalla sua banda degli inglesi William Moens, agente di borsa, e Murray Aynsley, reverendo, il 15 maggio 1865.
Altro capitolo parla della resa di molti briganti alle forze di polizia piemontese. Lo stesso capobanda Gaetano Manzo si costituisce il 4 marzo 1866. Per l'occasione le cronache del tempo registrano un pranzo in casa Manzo, la distribuzione di 6.200 e più ducati ai poveri, lancio di carlini ai ragazzi per le strade e festeggiamenti da parte del Comune con distribuzione di pane ai poveri. Alcuni briganti però che avevano comunicato la decisione di volersi consegnare furono uccisi dai loro stessi compagni.
Il processo contro i componenti della banda Manzo, iniziato il 9 marzo 1866, si svolge prima presso il Tribunale di Salerno e si chiude presso la Corte di Assise di Napoli, che il 29 maggio 1870 emette la sentenza definitiva con tre condanne a morte, nove condanne ai lavori forzati a vita, tre condanne a 21 anni, una a 20, una a 18 e tre a 3 anni. Gaetano Manzo, condannato ai lavori forzati a vita, fu rinchiuso prima nelle carceri di Firenze, poi a Pescara ed infine a Chieti, da dove riuscì ad evadere il 6 novembre 1871 per tornare alla vita brigantesca. Fu ucciso a tradimento il 20 agosto 1873. Seguono nel libro dettagliate biografie degli altri briganti e manutengoli della banda Manzo.
Il libro si chiude con una raccolta di importanti documenti sul brigantaggio salernitano e con un appendice che elenca gli Atti processuali dei reati di brigantaggio e gli Atti del Gabinetto del Prefetto, entrambi presenti presso l'Archivio di Stato di Salerno.
Sul sequestro Wenner ad opera della banda Manzo scrisse un diario anche l'altro rapito Giovanni Lichtensteiger, ignorato da Caiazza forse perché pubblicato in italiano lo stesso 1984 in cui usciva il suo libro.
Rocco Biondi

Antonio Caiazza, La banda Manzo, tra i briganti campani e lucani nel periodo postunitario, Tempi Moderni Edizioni, Napoli 1984, pp. 280