11 luglio 2014

Il brigantaggio alla frontiera pontificia, di Bianco di Saint-Jorioz



Scopo dichiarato dall’autore nel proemio del libro è quello di voler «dare un corpo ad un ammasso di note raccolte sui luoghi durante un lungo soggiorno alla frontiera». Il piemontese Alessandro Bianco, conte di Saint-Jorioz, era stato Capo di Stato Maggiore alla frontiera pontificia sotto gli ordini del generale Giuseppe Govone e aveva potuto seguire le azioni militari ai confini dello Stato Pontificio per circa tre anni. Il libro fu pubblicato nel 1864.
     In epigrafe sono poste delle frasi tratte dal Diario di José Borges, per esplicitare subito la valutazione altamente negativa che viene data del brigantaggio: “Andavo a dire al re Francesco II che non vi hanno che miserabili e scellerati per difenderlo, che Crocco è un Sacripante e Langlois un Bruto”.
     Bianco di Saint-Jorioz proclama di non accusare ma di raccontare, sostenendo quindi di essere oggettivo nelle sue valutazioni. Ma così non è e non può essere, quando si afferma che «tutto insomma ciò che vi è di laido e di riprovevole nella umana Società si trova in gran copia diffuso e penetrato in queste misere popolazioni» meridionali. «Qui siamo fra una popolazione che, sebbene in Italia e nata Italiana, sembra appartenere alle tribù primitive dell’Africa, ai Noueri, ai Dinkas, ai Malesi di Pulo-Penango». Con buona pace di queste tribù e della loro civiltà.
     Salvo poi a contraddirsi alla fine del libro quando si afferma a proposito degli abitanti del Regno delle Due Sicilie: «Il 1860 trovò questo popolo del 1859 vestito, calzato, industre, con riserve economiche. Il contadino possedeva una moneta. Egli comprava e vendeva animali; corrispondeva esattamente gli affitti; con poco alimentava la famiglia. Tutti, in propria condizione, vivevano contenti del proprio stato materiale. Adesso è l’opposto». Molto probabilmente la presenza fisica nei territori napoletani e la conoscenza diretta avevano fatto cambiare l’opinione del Saint Jorioz, frutto dell’indottrinamento a monte.
     In realtà l’obiettivo, anche dichiarato, del capitano Bianco di Saint-Jorioz era quello di difendere ed esaltare l’operato dei militari in contrapposizione all’operato del Governo politico. Quest’ultimo contro i briganti non poteva mettere mano ai mezzi coercitivi, e proclamare apertamente che intendeva governare con lo stato d’assedio, senza passare agli occhi dei governi esteri per un Governo violento, che si imponeva ai napoletani con la baionetta. Mentre quindi dava ai militari amplissimi poteri, confermava anche nel loro potere le autorità civili. Venendo così a creare forti contrapposizioni, che non giovarono all’obiettivo di sconfiggere il brigantaggio.
     Secondo Saint Jorioz l’esercito in quelle circostanze eccezionali ha dovuto necessariamente ingerirsi in molte cose che non le spettavano, al solo scopo di evitare mali maggiori e più funeste conseguenze. I Prefetti invece erano o deboli o faccendieri e comunque d’impaccio al buon andamento della cosa pubblica. La stessa cosa avveniva con la giustizia, i militari arrestavano briganti e manutengoli e i giudici dopo pochi giorni li mettevano in libertà. I sindaci e gli amministratori pubblici erano per la maggior parte venali e compromessi; quasi tutti se la intendevano con i briganti. I componenti la Guardia Nazionale erano pessimi e di nessuna utilità.
     Altro luogo comune, abbastanza corrente in quei tempi, che Saint Jorioz fa proprio è che la camorra sia la madre del brigantaggio; scrive: «i mariuoli della montagna non hanno mai avuto altra scuola che la camorra». E la camorra sarebbe una istituzione eminentemente borbonica, lasciata in eredità alle province meridionali da Francesco II. Ma nessuno studioso serio, oggi, concorda più con questa tesi.
     Dopo il proemio, nel primo capitolo si parla del cosiddetto spirito pubblico e dello stato politico-morale-amministrativo di alcuni paesi alla frontiera pontificia; spirito e stato che nella maggior parte sono pessimi. Vengono esaminati una trentina di paesi, tra i quali San Giovanni in Carico, Fondi, Pico, Avezzano, Sora, Traetto, Tagliacozzo, Colli. Viene poi fornito un quadro dell’Aquila e della provincia dell’Abruzzo Ulteriore Secondo. L’Aquila è una città monumentale situata al centro d’Italia fra due vaste capitali, Roma e Napoli. Questa provincia ha un’aria salubre che assicura ai suoi cittadini una grande longevità; la vita media degli aquilani già allora era di circa ottant’anni. Il terreno è fertile e abbonda di acqua; potrebbe fornire una buona coltura, se non fosse ammassata nelle mani di pochi possidenti. Sarebbe opportuna una ripartizione fra i contadini che questa terra lavorano; ma il governo non ne è capace. Abbondano quindi vagabondi, ladri, truffatori; e di conseguenza briganti. «Il bisogno – scrive Saint Jorioz – fa commettere qualunque delitto. Chi manca di pane implora perdono a Dio del furto commesso e continua a rubare».
     Il capitolo successivo è dedicato ai prefetti, sottoprefetti, giudici, delegati di pubblica sicurezza, doganieri ed altri pubblici impiegati. Tutti ne escono con le ossa rotte in quanto «non sono più onesti, illibati, intemerati ed irriprovevoli, di quello che non lo fossero sotto Ferdinando e Francesco Borbone».
     Nel terzo capitolo si parla di briganti e capibanda, dei loro parenti, di preti e frati. Chiavone, Centrillo, Matteo, Cuccitto, Conte, De Rivière, Massot, Castagni, Basile, De Trazégnies, Caretti, Borges, Tristany, Zimmermann sono capibanda e luogotenenti dei quali si forniscono ritratti. Per capire cosa Saint Jorioz pensi dei preti basta leggere la sua seguente icastica frase: «A noi ci fa più male un prete che cento briganti affamati».
     Seguono poi le accuse, allora correnti fra i filopiemontesi, della supposta complicità con il brigantaggio sia da parte delle truppe francesi schierate al confine pontificio sia da parte del Governo pontificio. I francesi, sin dai “primordi della nostra occupazione” scrive Saint Jorioz, si sarebbero mostrati sprezzanti verso le truppe piemontesi e accondiscendenti verso i briganti. Solo con l’allontanamento del generale Goyon e la sua sostituzione con il conte di Montebello, nel comando delle truppe francesi, le relazioni fra i comandanti francesi e italiani divennero amichevoli. Della complicità fra Governo pontificio e briganti non servirebbe parlarne, tanto essa è palese, scrive ancora Saint Jorioz.
     A scanso di qualsiasi equivoco, un capitolo del libro viene intitolato “Della guerra contro i briganti”, a testimoniare quello che nei fatti realmente avveniva in quegli anni nei territori dell’ex Regno delle Due Sicilie. Se i briganti fossero stati semplici delinquenti non sarebbe occorso più della metà dell’intero esercito italiano per sconfiggerli.
     Il capitolo sesto traccia una breve storia del brigantaggio alla frontiera pontificia, sulla scorta dello scritto “Quadro storico del Brigantaggio nella zona di Gaeta”, dedicato dall’autore Francesco Baglioni da Fano a Bianco di Saint-Jorioz.
     Infine nella conclusione vengono riassunte tutte le valutazioni negative sul brigantaggio, ma anche sviluppate delle considerazioni che riconoscono in qualche modo al brigantaggio, contraddicendo quanto scritto nelle precedenti pagine del libro, un carattere politico e sociale.
     Libro utile per sapere come il brigantaggio veniva valutato dai piemontesi negli anni in cui operava; completamente inutile per conoscere cosa quel fenomeno veramente rappresentava.

Alessandro Bianco di Saint-Jorioz, Il brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863, Studio storico-politico-statistico-morale-militare, Ristampa anastatica della edizione di G. Daelli e C. di Milano del 1864, Forni Editore, Bologna 1965, pp. 414

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