2 marzo 2016

Risorgimento, brigantaggio e questione meridionale, di Antonio Lucarelli



Antonio Lucarelli, pugliese di Acquaviva delle Fonti (Bari), nato il 1874 e morto nel 1952, è un risorgimentalista e antiborbonico, che però guarda con simpatia e interesse al brigantaggio.
     Il libro raccoglie tre studi del Lucarelli, il primo del 1927 è tratto da La Puglia nel secolo XIX, il secondo pubblicato tra il 1944-1945 su Il Nuovo Risorgimento mette insieme sei articoli, il terzo tre articoli del 1945 pubblicati ancora su Il Nuovo Risorgimento.
     Riguarda direttamente il brigantaggio il primo studio, puntiglioso spoglio dei documenti sull’argomento, presso gli archivi di Bari e di Gioia del Colle (Bari), e dei molti contributi bibliografici di vari autori. I documenti d’archivio sono molto importanti per conoscere la dislocazione delle milizie piemontesi e i vertiginosi movimenti dei briganti, «nei quali [briganti] le nostre plebi scorgevano il simbolo delle loro contrastate aspirazioni morali ed economiche». I documenti dell’archivio comunale di Gioia del Colle offrono un contributo largo ed efficace, in quanto in questo paese sorsero i primi nuclei dell’organizzazione borbonica e qui, il 28 luglio 1861, esplose il più grande conflitto «fratricida», dando origine alla più agguerrita delle bande brigantesche pugliesi.
     La guerra intestina fra nord e Sud (fra invasori piemontesi e briganti) fu nel Mezzogiorno così dura da richiedere la mobilitazione di circa 120.000 soldati, la direzione strategica di generali (che il Lucarelli definisce valorosi), come La Marmora, Cadorna, Cialdini, Pallavicini, Mazè de la Roche, Villarey, Cosenz, Pinelli, la cooperazione della guardia nazionale, l’arruolamento di speciali squadre volontarie. Ma a debellare il brigantaggio valse soprattutto il terrore della legge Pica. «Le crudeltà inaudite, - scrive il Lucarelli -, con cui fu soffocata l’insurrezione, rattristano il pensiero»: soltanto nei primi venti mesi si annoverano fra i briganti 1000 fucilati, 2500 morti in conflitto, 3000 condannati al carcere. Per convincere i briganti a presentarsi alle autorità, se ne imprigionavano arbitrariamente i genitori, i fratelli, le sorelle, i congiunti. Si fucilava senza alcuna garanzia non solo da parte delle truppe, ma anche dalle guardie nazionali, dai sindaci.
     Così sorgeva la nuova Italia «fra sinistri bagliori di sangue». «Non come italiani noi fummo considerati, - scrive ancora il Lucarelli -, ma come una conquistata colonia».
     La rivoluzione per l’Unità d’Italia fu voluta solo da alcuni del ceto dei ricchi (il patriottismo fu infatti un loro lusso spirituale), il popolo invece sente ed ama come sua patria «il tugurio e la grotta, ove geme la sua derelitta famiglia». Il contadino del sud del 1860 è antitaliano, antiliberale, borbonico. Quanto più la ricca borghesia vuol liberarsi dal giogo borbonico, tanto più il popolo si lega ai sovrani borbonici e reclama la sua libertà e la sua patria, consistente nel demanio usurpato dai ricchi e nella terra bagnata dal suo sudore. E questo spiega l’insurrezione e la rivolta popolare degli anni 1860-65. Si gridava: «Viva il popolo basso! Abbasso Garibaldi e Vittorio Emanuele! Viva Francesco II!».
     Nel secondo studio del Lucarelli, tra l’altro, vengono contrastate le tesi preconcette di molti studiosi della situazione italiana, delle due Italie, quella del nord e quella del Sud. Non sono sufficienti a spiegare le differenze esistenti le varie interpretazioni che vengono prospettate: l’interpretazione antropologica (nord e Sud derivano da due razze diverse: la privilegiata eurasiatica al nord e la maledetta eurafricana al Sud), l’interpretazione demografica (più densa è la popolazione al nord più rigoglioso è lo sviluppo economico ed intellettuale, più scarso è il numero degli abitanti al Sud più manchevole è l’evoluzione civile), l’interpretazione fisico-geografica (diverso è l’aspetto orografico, idrografico, meteorologico, topografico, diverso è il progresso dei popoli: fiumi e canali favoriscono il nord rispetto alle aspre giogaie del Sud), l’interpretazione sociologica ed economica (i differenti fattori sociali producono differente sviluppo generale). Non resta quindi, secondo il Lucarelli, per spiegare eventuali differenze «che interrogare le vicende storiche della nostra terra dai tempi più vetusti all’età contemporanea». Per lui quindi si rende necessaria un’altra interpretazione, quella storico-liberale. Nella storia del Mezzogiorno si sono avuti alti e bassi che dimostrano che lo sviluppo è direttamente proporzionale all’esistenza di istituzioni più o meno liberali. Quando vi è stata una verace democrazia sono fiorite arte e scienza.
     L’ultimo studio, presente nel libro, tende a dimostrare che la socializzazione della terra affermata dai socialisti, e il Lucarelli è sempre stato socialista, nel periodo storico che si attraversava, è assurda. Un’azione politica - scrive il Lucarelli – che non interpreti ed esprima, in piena atmosfera di libertà, i peculiari bisogni di un popolo, va incontro a disastroso fallimento.

Antonio Lucarelli, Risorgimento, brigantaggio e questione meridionale, Palomar, Bari 2010, pp. 160, € 14,00

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