7 giugno 2016

La conquista del Sud, di Carlo Alianello



È un libro, uscito nel 1972, che è stato ristampato più volte. Io recensisco un’edizione del 1994. L’autore Alianello, a conferma della sua lettura e narrazione dei fatti avvenuti negli anni immediatamente successivi alla cosiddetta unità d’Italia, fa parlare citandoli scrittori contemporanei e testimoni di quei fatti. In modo particolare trascrive brani del liberale Tito Battaglini (dal suo Il crollo militare del Regno delle Due Sicilie), del cappellano borbonico Giuseppe Buttà (dal suo Memorie. Da Boccadifalco a Gaeta), e dell’Anonimo borbonico (I Napoletani al cospetto delle nazioni civili).
     Si inizia con la sin troppo famosa lettera, che nel 1851 lord Gladstone inviò ad un suo collega; in essa viene descritta la fantastica situazione delle carceri napoletane; Gladstone stesso disse che mai aveva visitato un carcere napoletano, né mai aveva parlato con nessuno dei prigionieri. Tutto era frutto di sentito dire. Fantasiosa e solo d’effetto la frase che il governo borbonico rappresentava la negazione di Dio. C’entrava quindi solamente la diatriba esistente tra Ferdinando II e gli inglesi sulle zolfatare siciliane.
     Nel 1859 moriva a 49 anni Ferdinando II e gli succedeva sul trono del Regno delle Due Sicilie il figlio Francesco II di 23 anni, avuto dal primo matrimonio con Maria Cristina di Savoia. Morta quest’ultima sposò Maria Teresa d’Austria, da cui ebbe otto figli. Ferdinando II fu buon padre, buon marito, integerrimo di costumi. Fece costruire molte opere pubbliche, tra le quali la prima ferrovia in Italia. Con la concessione della Costituzione ebbe vari problemi politici, che portarono ai tragici fatti del maggio 1848.
     Intanto Garibaldi con i suoi Mille nel 1860 sbarca in Sicilia a Marsala. Tutto era stato preparato e i comandanti dell’esercito borbonico, comprati, tradirono. Francesco II lascia Napoli e si ritira prima a Capua e poi a Gaeta. Qui i borbonici tentano una strenua e gloriosa difesa. Ma l’esercito piemontese, comandato da Cialdini, più forte in uomini, armi ed appoggi stranieri, con mezzi spesso illeciti, costringono il re Borbone ad arrendersi e a ritirarsi a Roma.
     Chi scrive – dice Alianello nel libro – non è un legittimista in ritardo: i Borboni, come i Savoia, non ci interessano; al massimo ci piacerà talvolta confrontare la fine degli uni e degli altri alla luce della nobiltà degli atti e del valore. E i Borbone vincono di gran lunga.
     Siamo reazionari, legittimisti, vecchi, decrepiti? No: soltanto amici della verità. Sotto i Borbone furono costruite strade, ponti (fra tutti ricordiamo il ponte sul Garigliano), porti, fari, arsenali, navi, collegi nautici, scuole, furono fatte bonifiche, furono aperte industrie. Fra il Piemonte e il Napoletano, il regno di Napoli era incontestabilmente più florido; i piemontesi incamerarono e portarono via quel che faceva comodo, soppressero invece quello che poteva dar noia alla concorrenza del nord. Raggiunta la cosiddetta Unità, al Sud non fu messa più pietra su pietra; le opere iniziate non furono terminate, quelle che cominciavano a dare già qualche frutto, interrotte dapprima e poi soppresse. Anche i beni ecclesiastici furono incamerati dai piemontesi.
     I galantuomini continuarono ad arricchirsi; il contadino invece rimase a bocca asciutta e fu costretto a pagare tasse e gabelle, triplicate rispetto a quelle dei Borbone.
     La guerra iniziata come legittima difesa, divenne guerra civile, rivolta agraria, reazione, resistenza armata. Dai piemontesi furono fatte stragi, assedi, ma soprattutto si fucilò, spesso per un vago sospetto, uomini, donne, vecchi, bambini. Furono bruciati paesi, furono depredate chiese. La cosiddetta liberazione del sud, ad opera dei piemontesi, in realtà era conquista, dittatura rabbiosa e violenta, grondante sangue. E la colpa di tutto questo venne fatta cadere su noi gente del Sud. L’uccisore incolpava l’ucciso. E nessun cosiddetto meridionalista, secondo Alianello, compreso il troppo lodato Giustino Fortunato, difese a viso aperto il suo paese, usando l’arma della verità.
     Chi voleva l’Italia una? Se cento erano per il , almeno diecimila erano per il no. E chi era per il non era certo il popolo; erano gli «intellettuali». Il popolo, la rivoluzione italiana non la voleva.
     Gli italiani del nord giudicavano quelli del Sud con disprezzo razzista. E su questo, dice Alianello, si potrebbe citare una biblioteca intera; e non solo dell’altro ieri e anche di ieri, ma altresì di oggi e forse anche di domani.
     Resta fuori dalla trattazione del libro il racconto di tutte le ribellioni contadine, che furono centinaia. Ai briganti è fatto solo qualche accenno. È riportato però un brano de I Napoletani al cospetto delle nazioni civili, che dice: «E questo nome stesso di brigante, che fu già tanto tristo e abietto, noi lo facciamo amare dalle anime gentili e lo renderemo glorioso». I briganti se fossero stati semplici ladri o delinquenti non avrebbero goduto delle simpatie popolari e non avrebbero potuto resistere per tanto tempo a centoventimila soldati. Il brigantaggio fu un movimento economico, sociale e politico.
     Dai piemontesi furono fatti arresti arbitrari; si veniva fucilati senza processi regolari; nelle prigioni vi erano individui che le autorità giudiziarie avevano assolti; in nome del regno d’Italia venivano effettuate atrocità governative; venivano chiusi nelle carceri madri, sorelle, parenti dei contumaci alla leva; venivano uccisi giovanetti a colpi di frusta e di baionetta; venivano arrestati anche quelli dai cui volti si sospettava fossero delinquenti o renitenti alla leva; furono effettuati arbitrari domicili coatti e deportazioni varie.
     In questo modo, scrive Alianello, si condannava a morte non uno, due o tre, non il singolo, ma l’intera popolazione. Si attuava un genocidio.
     I piemontesi, complice una storia servile, nascondevano le loro colpe o si vantavano di esse. Le SS del 1860 e degli anni successivi, scrive ancora Alianello, si chiamarono piemontesi.
     Questo libro è stato scritto per conoscere la vera storia. Storia non nuova per l’autore, ma degna d’essere scritta per chi non sa e nemmeno dubita.
Rocco Biondi

Carlo Alianello, La conquista del Sud. Il Risorgimento nell'Italia meridionale, Rusconi Libri, Milano 1994, pp. 282

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