17 febbraio 2017

Nacquero contadini, morirono briganti, di Valentino Romano



Valentino Romano in questo suo libro cerca le ragioni dei fatti leggendo tra le pieghe dei documenti. Sono quarantasei brevi storie, tutte tratte dagli archivi. L’autore però precisa nell’introduzione che bisogna tenere ben presente che le notizie contenute negli archivi, quando si esamina un fascicolo processuale, hanno subito il filtro di chi ha interpretato e distorto i fatti al fine di piegarli alle proprie tesi. Occorre perciò leggere le carte in filigrana. Le carte del brigantaggio ci raccontano di un popolo che aspira ad un futuro più umano. Le storie raccontate narrano di una guerra di poveri contro ricchi. Quelle pagine ci «aiutano a riflettere su un ginepraio di varia umanità nel quale si muovono cafoni e galantuomini, idealisti e profittatori, ultimi eroi romantici e avventurieri di sempre, mestatori e doppiogiochisti, briganti e soldati, vittime e carnefici, sbirri e grassatori, giudici e imputati, carnefici e condannati, preti avidi e monaci intriganti, eroine e puttane». Le storie, scrive ancora Romano, urlano del sogno del mondo contadino, per il quale il brigantaggio ha rappresentato l’estremo mezzo per tentare di tradurlo in realtà.
     I racconti sono collocati in ordine cronologico. Il primo è dell’aprile 1861, l’ultimo è del luglio 1869. Ogni racconto si conclude con una breve morale, fatta dall’autore Romano.
     Si apprendono i nomi di tanti briganti e brigantesse finora sconosciuti. Ma si narrano anche, sotto una nuova luce, le storie di nomi conosciuti. Il 17 novembre 1862 la banda di Cosimo Mazzeo (Pizzichicchio) assale e occupa Grottaglie, in provincia di Taranto; alcune popolane in paese incitano alla rivolta gridando “stanno per arrivare i figli nostri”, alludendo ai briganti; alcuni libri vengono dati alle fiamme; finalmente, dopo aver saccheggiato il possibile, i briganti e i loro complici escono dalla città; si apre da parte dei piemontesi un processo contro i rivoltosi, viene accusato di complicità anche il sindaco, che incita la popolazione a liberarlo gridando “viva Francesco II”.
     All’inizio del 1863 la Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Brigantaggio (CPIB) visita il Sud ed ascolta i maggiorenti locali, ma di contadini non ne ascolta nemmeno uno; la conclusione è la legge Pica, con la sua legislazione speciale: la competenza del reato di brigantaggio passa ai Tribunali Militari di Guerra, vengono assegnati al domicilio coatto i semplici sospettati di collusione con i briganti, il sospetto e la delazione vengono elevati al rango di prova, viene eseguita la fucilazione immediata degli individui presi con le armi in mano, vengono condannati ai lavori forzati a vita i fiancheggiatori; e la Commissione deve essere accolta con tutti gli onori dovuti, le spese sostenute per l’ospitalità dei commissari sono elevate: banda musicale per l’accoglienza, spese per falegnami fabbri cocchieri stallieri cuochi camerieri marinai (quest’ultimi addetti al reperimento di frutti di mare), spese per le tante cibarie cui si dovrà onorare con le casse comunali.
     Il brigante Ninco Nanco (Nicola Summa di Avigliano) viene ucciso a tradimento da un milite uomo di Corbo, che apparteneva ad una famiglia influente che faceva il doppio gioco.
     Michele Caruso dispone di una sterminata schiera di fiancheggiatori che ne agevolano il suo scorrere la campagna; ma anche la sua sorte è segnata: sottoposto a giudizio verrà fucilato dai piemontesi; ma rimane il dubbio: Caruso si è consegnato o è stato catturato?
     Maria Monaco (la Ciccilla di Stocchi) dopo l’uccisione, da parte di altri briganti, del marito Pietro Monaco, prende il comando della banda. Viene sottoposta a processo, ma l’avvocato fiscale conclude a sua difesa: «Tanto basta perché le si debba lasciare la vita, ora che tra le mura del carcere è ridivenuta una donna di ventidue anni».
     Molti fiancheggiatori sulla pelle dei briganti ci vivono, ricavandone notevoli profitti.
     Se Michelina De Cesare è l’icona del brigantaggio postunitario al femminile, Filomena Pennacchio ne è l’esempio, racchiudendo nella sua vicenda umana diverse contraddizioni: fiera, spavalda e rassegnata, feroce ma capace di gesti di umanità, fedele al suo uomo (il capobrigante Giuseppe Schiavone) e consapevole della sconfitta, nemica giurata dei piemontesi e confidente degli stessi (con la sua delazione farà distruggere la banda di Agostino Sacchitiello ed arrestare Giuseppina Vitale (donna di Sacchitiello) e Maria Giovanna Tito (donna di Crocco). Processata e condannata, usufruì di vari sconti di pena. Filomena Pennacchio sconta poi, scrive Valentino Romano, la vera condanna delle contadine-brigantesse: l’oblio.
     Ognuna delle quarantasei storie è dedicata ad una persona cara all’autore. A me (Rocco Biondi) è dedicata la storia intitolata “Del saper leggere e dello scrivere”. Si parla di Giovanni Fusco, un bracciante di 19 anni, arrestato con l’accusa di essere stato trovato in possesso di una penna, un calamaio e alcune carte, chissà avrebbe potuto usarle per scrivere lettere di ricatto nei sequestri fatti dai briganti. La cultura, scrive Romano, com’è risaputo, è in re ipsa un fatto rivoluzionario: figuriamoci quando se ne appropriano i poveracci.
     Mi piace chiudere con una frase di Maria Giuseppa Gizzi, detta Peppinella, che ad un brigante che l’invitava ad abbandonare la vita brigantesca rispose: “dove corre corre, la mia pianeta!” (dove va va il mio destino).
     Il libro porta la prefazione di Paolo Zanetov e la postfazione di Monica Mazzitelli.
Rocco Biondi

Valentino Romano, Nacquero contadini, morirono briganti. Storie del Sud dopo l’Unità dimenticate negli archivi, Capone Editore, Cavallino (LE) 2010, pp. 142

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