25 marzo 2017

Il brigante, di Pompeo Onesti



«La guerra l’abbiamo perduta da parecchio. Dobbiamo continuare a lottà solo pe’ salvare l’onore e l’idea, perché i figli dei nostri figli sappiano che abbiamo lottato prima di cedere». Dice il brigante alla sua donna, alla fine del romanzo.
     Pompeo Onesti introduce gradualmente e magistralmente i vari personaggi del suo racconto. Briganti e brigantesse, fiancheggiatori e fiancheggiatrici, nobili doppiogiochisti, lotte fra borghesi per il potere, preti e vescovi filoborbonici, il plebiscito farsa e il controplebiscito, comandanti e generali piemontesi, tragici fatti per amore e per donne. Siamo nel decennio immediatamente successivo alla cosiddetta unità d’Italia (1860 – 1870). Si diventava briganti per reagire alle ingiustizie, facendosi giustizia da sé (non esistendo altre vie).
     L’azione si svolge in Campania, nel salernitano, fra i Monti Picentini.
     Sullo sfondo c’è il capobrigante Carmine Crocco, sempre atteso per riunire le molte bande di briganti. Viene descritta la visione diversa che Crocco e Borges avevano sulla conduzione della guerra contro i piemontesi, invasori del Regno delle Due Sicilie.
     Antonino Luongo, il brigante del romanzo, era un ex capraio che era diventato soldato dell’esercito borbonico, e combatté a Gaeta a fianco del re Francesco II. Una volta sciolto quest’ultimo esercito, fu chiamato a prestare servizio nell’esercito piemontese. Rifiutò e divenne brigante prima e poi capobrigante
     Il barone Castagna e l’avvocato Rocco erano in lotta tra di loro per ottenere il potere nel loro paese. I due usavano ogni mezzo per raggiungere lo scopo.
     Grande spazio nel romanzo è tenuto dal calzolaio Manocorta, amico d’infanzia della troppo giovane Giovannina (ventenne), che era moglie dell’attempato barone Castagna e figlia di un generale, liberale e amico dei Savoia.
     Una serie di omicidi si susseguono fra briganti e nobili.
     Antonino, Palladino e Mirra erano a capo di bande di briganti, che insieme sommavano un centinaio di uomini; ma non avevano una strategia comune.
     Anche se obiettivo comune era togliere la terra ai galantuomini per darla a chi veramente la lavorava.
     Le donne dei briganti trovavano divertente ed efficace tagliare i genitali ai militari piemontesi che venivano presi prigionieri, in risposta al loro uso di violentarle.
     I piemontesi per combattere i briganti inviarono  al Sud centoventimila uomini, oltre i bersaglieri e i militi della Guardia Nazionale. Massacravano amici e parenti dei briganti e davano alle fiamme le loro abitazioni.
     I briganti anche se riuscivano a crescere in numero, erano sempre molto inferiori ai piemontesi. E se con il sistema della guerriglia riuscivano a riportare delle vittorie, numericamente erano destinati ad essere sconfitti.
     I piemontesi poi facevano emettere decreti, secondo i quali nessuno del Sud poteva girare nelle campagne senza una carta di ricognizione rilasciata dai rispettivi sindaci. Non si potevano portare con sé viveri, vino, liquori o tabacco. Nessuno poteva dimorare di notte nelle masserie o nei pagliai, senza autorizzazione.
     Intanto Crocco venne arrestato. Ma i cafoni non mollarono e nuove bande sorsero in Basilicata, in Calabria, in Puglia.
     E i cafoni pagarono da soli il prezzo dell’unità. Era la fine di una speranza e la conferma di un sentimento di odio e di rancore, che da allora venne trasmesso alle generazioni future. Quei morti del Sud chiedono ancora giustizia.
     Per conoscere la fine dei protagonisti consiglio di leggere il romanzo.
     Qui dico solamente che il romanzo di Onesti si chiude con un gruppo di emigranti, che su di un bastimento sono diretti in America. 
Rocco Biondi

Pompeo Onesti, Il brigante, Controcorrente, Napoli 2001, pp. 195

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