15 maggio 2017

La mala vita di Nicola Morra, di Raffaele Vescera


«Raffaele Vescera si distingue per originalità e pregnanza di scrittura. Ho trovato in lui un vigoroso ingegno», così scriveva Gesualdo Bufalino, dopo che nel 1992 uscì “Inganni”, il primo romanzo di Vescera. Anche per questo altro romanzo su Nicola Morra si può esprimere lo stesso giudizio.
     Nicola Morra nacque a Cerignola (Foggia in Puglia) il 17 giugno 1827, morì in carcere a Firenze il 13 maggio 1904; aveva 77 anni. Secondo il mito fu un gentiluomo che rubò ai ricchi per dare ai poveri. Fu prima contro i Borboni e poi contro i piemontesi, quando questi ultimi invasero il Sud. Trascorse molti anni in carcere, dal quale evase o fu rimesso in libertà. Fu, come si evince dal romanzo, un brigante solitario, al contrario di Carmine Crocco che riuscì a formare una banda di oltre duemila uomini.
     Tra fughe ed evasioni, fece cinquanta e passa anni di galera «perché non poté sottrarsi alla maledizione della sua nascita e perché di poveri cristi messi in croce sono piene le terre che guardano il Mediterraneo».
     Pasquale Ardito pubblicò nel 1896 una biografia del Morra, dopo averlo intervistato a lungo. Vescera, come scrive nella premessa al romanzo, si è rifatto a quella biografia, però «con beneficio d’inventario e licenza d’invenzione». Interessante sarebbe scoprire quali sono i fatti realmente accaduti e quali sono inventati. Successivamente il libro dell’Ardito è stato ristampato nel 1993 e nel 2011.
     A diciotto anni – scrive Vescera – Morra era diventato un incorreggibile scapato, baldanzoso e burlone, che giocava con i fanti, senza risparmiare né vescovi né santi.
     Nel romanzo sono anche utilizzati alcuni brani dell’autobiografia del capobrigante Carmine Crocco e dell’arringa accusatoria fatta dall’avvocato torinese Enrico Ferri nell’ultimo processo contro Morra a Benevento.
     Vescera scrive che la sua infanzia è stata accompagnata dalla musica di una lunga canzone che raccontava le gesta eroiche del bandito Morra cantate dai cantastorie. Naturalmente, la bontà dell’eroe si dava per scontata, perché le sue azioni erano dettate da un codice dal quale non si poteva prescindere. La canzone popolare ha supplito alla scarsa produzione letteraria, dando luogo ad una cultura orale. E ne vien fuori «un Sud fortemente contraddittorio, dolce e amaro, affettuoso e feroce, cheto e sfuggevole, solare e misterioso, insieme».
     Sul treno che lo portava al domicilio coatto di Monopoli, ad un passeggero che, accortosi del suo pallore e del suo nauseato imbarazzo, gli chiedeva se avesse bisogno di aiuto, Morra rispose: «No grazie, paisà, non è niente, è soltanto che sta arrivando un secolo di merda».
     Sua cugina Rosina fu l’unico amore, che accompagnò Morra durante la sua lunga vita, e che comunque non fu coronato da un figlio che Rosina desiderava tanto.
     Gran parte del romanzo è dedicato al tentativo di recuperare dal figlio di Giovanni De Nittis i dodicimila ducati dati al padre. Il giovane De Nittis prima divenne sindaco e poi deputato. Vinse infatti il ballottaggio per quest’ultima elezione proprio contro Nicola Morra, per pochi voti. Non restituì mai i soldi al ‘bandito’, anzi lo fece arrestare e condannare due volte per ricettazione.
     L’etnomusicologo Rocco Forte, nell’appendice al romanzo di Vescera, scrive che la storia raccontata è a noi pervenuta per via orale, uno fra i più antichi ed affascinanti mezzi di trasmissione. Un cantore autodidatta di Barletta fece registrare nel 1963 su disco 45 giri la canzone di Nicola Morra, dalla casa discografica Combo Record di Milano; la canzone è cantata da Bruno Dasi e accompagnata dal complesso pugliese di Tony Di Palma. Il disco ebbe successo non solo a livello locale ma anche a livello nazionale. Tant’è che si trova al primo posto dal gennaio all’aprile del 1964. In seguito la storia di Nicola Morra fu continuata e vennero incisi altri due 45 giri con la III e IV parte e la V e VI parte. Poi tutte le sei parti vennero ristampate su di un unico disco formato 33 giri. E «ancora oggi questa canzone – chiude la sua appendice Forte – continua a raccontare la storia di Nicola Morra che grazie al ritorno dell’arte di questo nuovo romanzo ci può ancora insegnare qualcosa».
Rocco Biondi

Raffaele Vescera, La mala vita di Nicola Morra, Asefi Editore, Milano 2003, pp. 190

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