10 settembre 2017

I briganti italiani, di Mario Monti



Come si legge nella nota posta alla fine, questo libro non appartiene al genere storico, ma vuole richiamare l’attenzione su periodi, vicende e personaggi del passato che in altri paesi formerebbero l’argomento di centinaia di romanzi d’avventure o di carattere storico. Quando Monti scrisse questo libro, e relativa nota, erano ancora pochi gli studiosi del fenomeno del brigantaggio, quasi tutti uomini del Mezzogiorno. Solo dopo aumentarono, con diari, saggi, biografie e romanzi di specialisti anche del nord.
     In una edizione pocket della Longanesi in due volumi del 1967, nel secondo di essi, nella presentazione si legge ancora che questo libro nacque come reazione alle celebrazioni oleografiche del 1961, per il centenario dell’unità italiana.
     Sono raccolte le storie romanzate di Fra Diavolo (38 pagine), dei Vardarelli (126 pagine), di Ciro Annicchiarico (116 pagine), di Crocco (248 pagine). Questi protagonisti vengono presentati con simpatia. I briganti che per molti anni rappresentarono quasi una vergogna nazionale, pian piano vennero considerati non più semplici ladroni o assassini, ma impersonarono coloro che si opponevano alle prepotenze e alle ingiustizie subìte dai più deboli.
     Molte sono le libertà che l’autore si concede con la verità storica. Ad esempio l’avventura di Quandel a Castel del Monte, dove in realtà avvenne l’incontro tra Gaetano Meomartino (il capo dei Vardarelli) e Ciro Annicchiarico, è del tutto immaginaria. Così pure la compagna di Gaetano, una romantica carbonara dell’epoca, è di fantasia. Sono del tutto inventati i due giovani rinchiusi con Ciro Annicchiarico nella masseria che lo vide realmente assediato da un intero esercito. È frutto dell’immaginazione la figura femminile di Giovanna Marseglia, nel capitolo sull’Annicchiarico. Allo stesso modo è di fantasia Maria Antonia, nel capitolo su Crocco.
     Michele Pezza, detto Fra Diavolo, era nato nel 1771 a Itri (paese allora parte della Terra di Lavoro, oggi in provincia di Latina nel Lazio). Da bambino vestì un piccolo saio per un voto fatto dalla madre. Si sposò in chiesa. Le sue avventure sono legate alle vicende del regno delle due Sicilie. Nel 1799 fu al fianco del cardinal Ruffo. Fu impiccato dai francesi a Napoli l’11 novembre 1806.
     I fratelli Vardarelli, così detti perché la loro famiglia era dedita a fabbricare varde (selle per cavalli), erano Gaetano, Geremia e Giovanni. La loro banda era la più famosa e la più temuta a quel tempo in tutto il regno. Gaetano era nato il 13 gennaio 1780, Geremia il 19 febbraio 1782, Giovanni il 28 gennaio 1790; il cognome di famiglia era Meomartino. Dappertutto venivano ospitati dai padroni delle masserie, timorosi delle loro terribili rappresaglie; distribuivano molti ducati, frutto delle taglie, tra i contadini poveri che, in cambio, li tenevano informati dei movimenti della truppa e li ospitavano in sicuri rifugi. Gaetano si faceva chiamare il re delle Puglie. A combattere i Vardarelli vi furono il borbonico generale Church ed il suo aiutante Quandel. Il re Borbone Ferdinando IV, ritornato sul trono di Napoli nel 1815, non riuscendo a sconfiggere con le armi i Vardarelli scese a patti con loro. Si concordava che tutti i membri della banda godessero di uno stipendio con il compito di agire contro i malviventi del Regno. Ma i briganti furono tratti in un tranello e vennero uccisi a fucilate il 9 aprile 1818.
     Ciro Annicchiarico, detto Papa Ciro o Papa Ggiru, era nato a Grottaglie il 16 dicembre 1775. Fu prete fino a quando non venne ucciso il suo collega prete Giuseppe Motolese; ambedue amavano la stessa donna; Ciro si dichiarò sempre innocente di questo omicidio. Fu incarcerato, ma riuscì a fuggire. Si diede al brigantaggio, formando una nutrita banda. Fu rispettato dai nobili e borghesi. Fu a capo della setta dei Decisi, e a nome di questa setta furono eseguiti molti delitti. La prolungata impunità della setta venne favorita dalle alterne vicende politiche e dal conseguente stato di incertezza legale, causato dalla conquista napoleonica del Regno di Napoli. Quando la monarchia borbonica fu restaurata e il re Ferdinando I decise di risolvere il problema del brigantaggio in Puglia, affidò il compito al generale Richard Church. Quando papa Ciro fu costretto alla resa nella masseria presso San Marzano (Taranto), «un vero e proprio esercito si era a poco a poco raccolto là fuori, con fucili, sciabole, lance e cavalli». Alle tre del pomeriggio dell’otto febbraio 1817 Ciro Annicchiarico si avviò a passi lunghi nella piazza di Francavilla (Brindisi); rifiutò l’assistenza di un prete; e venne fucilato. «Una figura nera si staccò da un androne e gli recise la testa. Sarebbe stata esposta in un’apposita gabbia metallica per due anni nella pubblica piazza del paese».
     La prima parte su Carmine Crocco, detto Donatelli, è dedicata alle sue azioni con lo spagnolo generale Borges (nel libro è scritto alla francese Borjes). Crocco era nato a Rionero in Vulture (Potenza di Basilicata) il 5 giugno 1830. Dapprima fu soldato borbonico, successivamente combatté con Garibaldi, ed infine passò con i Borbone. Ebbe alle sue dipendenze fino a duemila briganti. Capi guerriglia con lui furono, tra gli altri, Ninco Nanco, Giovanni Coppa, Donato Tortora, Giuseppe Caruso, il quale ultimo lo tradì passando con il pimontese generale Pallavicini. Nel libro di Monti vengono romanzate alcune avventure di Crocco, come le vittorie sui piemontesi a Stigliano, Ruvo del Monte, Lagopesole e la non presa Potenza. Si narra anche la fucilazione a Tagliacozzo di Borges e dei suoi compagni. Nel libro si parla anche del sergente Romano di Gioia del Colle, dell’uccisione di Ninco Nanco, del tentativo mai riuscito da parte di Caruso di prendere Crocco, di Giuseppe Schiavone della Capitanata, di Filomena Pennacchio. Il libro si chiude con l’interrogatorio fatto a Crocco dal professor Ribolla (interrogatorio al quale per maggiore drammaticità vien fatto anche partecipare il professor Ottolenghi) nel 1902, nel carcere di Portoferraio dell’isola d’Elba; dove Crocco morì il 18 giugno del 1905.
Rocco Biondi

Mario Monti, I briganti italiani. Longanesi, Milano 1959, pp. 452

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